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La caduta di Olimpia Stampa contenuto

Inventario: BAV, Vat. Lat. 9729 ff. 263-288v

Tributo di Miscellanee di Roma Sagre Politiche Erudite Istoriche in prosa ed in verso offerto da Francesco Cancellieri a Sua Eccelenza Milord Francis Henry Egerton nel mese di aprile dell'anno MDCCCXII

La caduta di Olimpia

In somma quando nasce il sole, tramonta la luna, e benchè da Iddio fossero fatti questi due supremi luminari in un'istesso tempo, vuolse nondimeno l'Onnipotenza ad uno assegnare d'illuminar il giorno, all'altro d' illuminar la notte; Non può l'uno senza la privatione dell'altro dominare sopra le tenebre con la propria luce, se non con alternativa natura, mentre, che nel giorno il sole nascendo in su l'Aurora, relega dalla notte la luna, la quale non può soccedere al sole se non nel di lui occaso, Questa verità pateticamente rimostrossi in sul Cielo di Roma, poiché nel commando Pontificio d'Innocentio Decimo fu vista una (f. 263 v) luna, quasi prima del sole a portendere un'ecclissata lucie nella caligine densissima, quando ecco all'apparire di un nuovo sol cardinalitio fu vista la luna esser sforzata à cedere all'istesso sole, monarca sovrano della luminosità, essendo stato pur troppo per il passato la luna contro ogni dovere il luminare maggiore, che illuminasse l'emisfero latino, la onde per divino decreto delle stelle, le quali tutte abbominando una luce feminea che robasse l'imperio al sole, consigliavansi per beneficio commune d'involare da questa luna (ch' altro non era, che donna Olimpia) il predominio delle cose sublunari e politiche del mondo, e dell'interesse, e benche, come si ha questa luna non portasse totalmente ne' suoi Natali il lume, ad ogni modo si sa, che mutatagli la luce da chi li vuolse conferire tal privileggio viddesi nel nascer di questa femina i preludi ( f. 264) della di lei fortuna, poiché assistita di fatalità di destino vuolse la sorte privileggiarla nel principio della sua, nascente felicità, concedendogli nè primogli del Pontificato d'Innocentio Decimo suo cognato una tal partialità di commando, che non nominavasi altro per Roma, che una donna commandante, così fa Donn' Olimpia, così ella comanda, così ella dispone, si che al beneplacito d'una femina ubediva tutto il comando di Pietro, e quelle Chiavi, che furono date da Christo ad un Apostolo, erano con deforme metamorfosi, e con scandalosa politica consegnate in mano d'una donna, la quale altra moglie di Zebedeo à suo piacere operava delle cose di Roma non senza grandissima mormoratione, così della Corte come di tutto il Popolo soggetto.

Quante volte nel Concistoro de' Cardinali fece rupper questa donna gli loro statuti, mentre scandalosa interessata con titoli quasi d'infamia, e con sublimi ignominie evangelizò li ( f. 264 v) ministeri della Chiesa, le dignità episcopali, le porpore cardinalitie, e finalmente l'auttorità dell'istesso Pontefice.

Questa fu osservata nella casa di Pietro creare ( si può dire) ella medesima il cardinale Maidalchino suo Nipote giovane incapace di posto così eminente, inesperto, senza merito nessuno, innocente di cognitione ecclesiastica, e quasi non atto à pena a rispondere la messa, onde puossi meritamente dirsi esser un babuino, come tale sin dalle Donne di Roma vien publicamente chiamato, e mormorava tutta la città delle pessime conseguenze della di lui elettione.

Oh Dio, et una femmina dovrà comandare, una femina, che esclusa dalle leggi dell'Impero sempre gli fu interdetto totalmente di comandare, essendo che non comandò mai donna, che non apportasse danno.

Io non nego, che questa donna non fosse nata ( f. 265 ) al comando, poiché ben si sa, che maritata a Panfilio Panfilij nel secondo voto, se gli mostrava Donna di tanto cervello caparbio, che molte volte, tutto ch'egli fosse persona che ad un minimo cenno si sarebbe fatto ubedire, e riverire dalla consorte, molte volte non dimeno era costretto di tolerare di molte infortunie, e molti strapazzi dell'insolenze di ella, perché rispettando a maggior segno suo fratello il Cardinale hoggi Innocentio Decimo, riguardava la confidenza, che grandissima passava tra questo, e quella la quale scuotendo il giogo, non voleva conoscer il marito che per un servo Sancio panza di Don Chicciotte (sic), scuoprendosi fin all'hora esser questa donna verile nell'appetenze di quella monarchia, alla quale aspirando totalmente vedevasi aprirsi la strada ad un comando dispotico di così imperiosa ubidienza, che in riguardo de gli ( f. 265 v) huomini, sembrava esser questa donna la moglie di un Alessandro Magno d'un Epaminonda thebano, d'un Agamenone greco, e di Mutio Scevola romano, tanto era maschile ne gli ardimenti virili, desdegnando d'esser donna, sprezzando d'esser femina, volendosi guadagnare un titolo più prestante col farsi riconoscere estraordinaria ne' pensieri, segnalata nelle opere, industriosa nella dispositione delle cose del mondo, e finalmente tuttà virilità nell'impiego dell'universo del Cristianesimo.

Questa grand Donna non mai alienandosi dalla magnanimità della sua mente, seppe sempre mai conciliarsi tanto più l'affetto di tutti quanto che incontratasi in un cognato Pontefice, questo consultava seco li suoi maggiori negotij, e tanta confidenza tra l'uno e l'altro passava, che essendo Cardinale l'haveva ammessa insino à gl'essercitij ( sic) più cristiani, e religiosi, mentre con essa ( f. 266) recitava quotidianamente l'Ufficio Divino, e s'anco l'havesse potuta ammettere alle funtioni della Messa, e d'altro più riservato l'haverebbe fatto, in somma era divenuta quasi una Consorte Generale di tutti i genij dell'altrui volontà, e colla sua retorica, e feconda inventione seppe tanto ben dire, e fare, che incantò l'anima di Innocentio à donargli ogni giurisdizione, anzi quasi tutto il suo arbitrio non senza grave scandalo di quellio, che mormoravano esser vergogna, che in su la fronte di Roma una Donna facesse da huomo, e che una femina dominasse S. Pietro, essendo che gionto al Pontificato Innocentio diede subito principio Donn'Olimpia à subastare talmente l'auttorità (sic) delle Sacre Chiavi, che non si contrattava cos' alcuna, di cui non fosse sensale l'avaritia di questa ( f. 266 v) Donna, la quale sempre più insatiabile sembrava il fondo del mare, che quanto in sé riceve ricchezze, tanto più se ne mostr'affamato. Mà meraviglia non sia, che Donn'Olimpia trovando aperta la strada à tutti gli appetiti suoi così facile mercantasse con il suo trafico? tanti tesori, poiché ne' Concistori, nelle Congregationi, nelle Consulte, nelle dignità, ne i titoli, nelle pretendenze, nelle distributioni, et in tutte le cose finalmente volendo haver parte, et auttorità pareva, che Donn'Olimpia fosse l'unica Papessa, atteso che in lei sola consisteva tutta la potenza de' carichi, et in somma di tutte le cose.

In tutte l'Ambasciate, in tutte le Prelature, in tutte le dignità, in tutte le ressolutioni (sic), et in tutte quelle cose che s'aspettano ad un Papa si ( f. 269) fraponeva l'auttorità di Donn'Olimpia, la quale addomesticavasi talmente con la giurisdizione Apostolica, che pareva un'altra Apostolessa falsificata, à piedi della quale tutti i tesori del Demonio prostrassero le loro rendite, et i beneficij, cosa che tanto scandalizzava il mondo, che furono visti gli libri-intieri de gli abusi infami di questa femina, e per tutta Roma udivasi parole, che intonavano l'antifoneOlimpiche, li salmi del suo interesse, et gli responsorij della sua insaziabile avaritia, che ad altro non attendeva, che a riempire gli erarij d'argenti, e d'oro, quasi fatta sanguisuga ecclesiatica bevendo continuamente le sostanze dei poveri, et infamanado l'atrio di S. Pietro di enormità tanto venali, le quali raccolte in un fascio furono fatte stampare da Pasquino fuori di Roma per non render pestilente l'aere latino, vergognandosi lo (f. 269 v) lo stesso padre di Momo, che in Roma s'imprimessero caratteri d'infamia così enormi, annotati lo scandalo della Chiesa, et la tempesta del Pontificato, ella s'era ridotta à tale, che li più bassi cortegiani, li più velissimi staffieri impegnavano le die lei raccomandationi à forza di denaro per impetrarne udienza da Sua Santità, e per restarne in qualche parte gratiati. Questa Olimpia tanto si affacendava per persone nobili, quanto per abiette, pigliando paga da tutti alla similitudine di quegli Avvocati, che tanto a difesa consegliano, quanto ad offesa, apparecchiando sempre le mani pronte à doni, à regali, et à denaro, Aggiongasi, che in ogni congresso, in ogni congiuntura de' gl'interessi della Corte di Roma questa Donna sempre volesse essere riverita, et adorata per l'influenza prima di tutto il Cielo, anzi stimandola il Papa l'anima del suo cuore, gli scappò tante volte dalla bocca (f. 268), che il maneggio di quella Corte, il governo di quella Città veniva così ben disposto distinto, et diviso, che pareva ch'ella sola fosse tutta l'anima del comando, tutto il genio della mente, et tutto l'impiego dell'auttorità di Sua Beatitudine. Di più in Roma tutte le adherenze, tutti li Matrimonij, et tutti li Parentadi venivano contrattati dalla sua onnipotentissima opera, la quale sembrava appunto d'essere la Semenza di tutta la Divinità, poi in Corte niente operavasi, che non passasse per le sue mani, che ella non esaminasse, e che il suo consiglio non pervenisse per tutte le linee al centro de gli suoi interessi. Questa femina non mai pensando, che sublimata ad altro, potesse decadere, et imaginadosi, che sempre dovesse sussistere l'incremento della sua imperiosità tanto s'insuperbiva ogni momento più, che reputando ogni altezza bassezza, pensava solo ad accrescersi d'auttorità per poter ( 268 v) sopravanzare ogn'altro qualificato, et eminente soggetto, essendo che anhelando alla Monarchia del Pontificato con indegni pretesti stradavasi ? all'unico comando, pretendendo con le sue lusinghe di talmente incantare l'anima di Innocentio, che non potesse egli medesimo niuna cosa deliberare senza consigliarsi con questa decrepita Susanna fatta gioco dell'avaritia, turcimana dell'ambitione, e causa principale di tutti gli scandali maggiori di Roma; e questa non solo volea farsi conoscere auttorevole, ma aggiongendo alla sua innata maggioranza qualunque titolo, intronizata alla propria petulanza, facendosi idolatrare da ogn'uno, presumeva gli incensi quasi ella fosse una nuova Ester indiademata di gloria dentro delle mura latine, et il buon Papa sempre più dormendo alle nenie magiche di questa Circe, si lasciava lusingare, e saporare dal canto di questa sirena, che li uccideva nel cuore ogni spirito di riputazione, et lo lasciava solamente cadavero nella vergogna, ridicolo nella sedia mormorando ciascuno del suo infeminato comando, parendo à tutti disdicevoli, che una donna lo cibasse, lo menasse per il naso, rendendolo favola delle genti, con scorno di se medesimo, con danno della Chiesa, e con pregiuditio del Pontificato. Dicasi ancora, che sempre più artificiosa ne' suoi fini, politica ne' sue astutie, e machiavellica ne' suoi stratagemmi con termini di mera tirannia ogni giorno talmente facevasi odiosa, et abominevole, che come novella arpia, non contenta di latrocinare al prossimo, et à poveri, s'era posta anco à denudare à templi le spoglie, et a Chiese l'entrate. Insomma era tutta l'avaritia et ingordigia di questa Donna, che credendosi nuova moglie di Cambise, pensava farsi (f. 269 v) le vene d'oro, come d'oro haveva il desiderio, e spiacevoli in una sola appetenza non poter ingiottire tutt'il Patrimonio di S, Pietro, genio è il suo il più precipitoso di tutt'i vitij, poiché l'imperio dell'Oro è morbo incurabile, et in chi questo morbo si attacca può dirsi disperata la salute, et la vita , rinegato l'honore, vilipesa la riputatione, e l'istesso Dio niente stimato dove l'avaritia subintra.)

Ah, ch'io non ho già preso per metà del mio favellare, il riandare con la maledicenza le qualità di questa dama, ne vergare caratteri d'infamia con la penna di cinico oratore; ma ben sì con chiari e vivi contrassegni della verità il mettervi su gli occhi gli abusi, e gli di lei pessimi costumi. Il che per dimostrarvi più al minuto, e farvi chiara rapresentatione delle sue attioni, bramo l'eloquentia di Tullio, e la facondia di Diogene, poiché per distendere à pieno il grido ( f. 270) delle sue avare prerogative appena sarebbe bastanti cento lingue, con una voce di ferro, come cantò un cigno di Pindo?

Non già se cento lingue, et il cor ebro?/ di sacro humor havesti, et una voce/ di ferro spiegarei assai feroce / Olimpia regnatrice su nel Tebro

Con tutto ciò non retiro il mio, qual si sia talento ne mi curo con l'obedienza alle mani ondeggiare in un mare di difficoltà, purchè i giusti rimproveri di una ingiustissima Regnante non partoriscano tempeste d'odij alla verità del mio dire. Onde per aprire il Teatro de gli altrui abominevoli gesti, sia quello, che à me medesimo fabrichi le machine di malevolenza di tutto il mondo.

E per farmi da capo piacermi di ricorrere colla memoria ad incontrarla nella sua nascita, la quale benchè posta nel seggio di tutte le grandezze, non sdegnarà sentire (f. 270v ) l'humiltà dei suoi Natali. ( Rivisto fino qua

Sorti Viterbo nella casa Maidalchini donna così famosa nelle di cui ?? vantandosi d'aver partorito il sole delle sue pompe gli volse comporre un nome ancora celeste; ma poratndosi da genitori i spiriti connaturali delle loro inclinationi venne però à darci a dividere ?? non essere Pianeta si luminoso, che non patisca l'ombre di molte macchie, fu in età giovanile si vaga, et adorna di tanti doni, a cui parve la natura fosse si prodiga che le lebbellezze, e affettioni sparse in mille accogliesse in lei sola. Non v'era alcuno, ch'alal vista di questa Donna non rimanesse dall'arco del bel ciglio saettato d'Amore.

Gareggiavano nella fronte il sole, e due bellisime stelle de gl'occhi le quali spirando d'ogni intorno raggi amorosi formavano nel suo volto il Cielo, di tutte le vaghezze e certo io mi dò a credere, che per la di lei ( f. 271) rara beltà se fosse stata nella favoleggiata contesa delle tre Dee, avvinto dalle sue gratie, e gratiosissime maniere il Dio D'Anfriso ? sarebbe stato forzato a cederli il premio del pomo d'oro per dichiararla superiore anco alle Veneri.

Avvenne che un contadino di Viterbo, non tanto favorito dalla natura di Nobiltà

( da qui segue poi , primo matrimonio, 2 matrimonio ecc)

Ripreso da f. 272 Era in questo tempo il cognato Giovanni Battista Panfilij avvocato concistoriale, et agitava la cura con ordinario valore, egli studiosissimo delle leggi stava per apprirsi facilmente la strada in Prelatura, et honori de Governi. E perché gli huomini benchè virtuosi non sogliono spuntare ai gradi della honorevolezza senza il concorso della fortuna. Onde a questo proposito si annota la divulgata impresa Virtute Duce, Comite Fortuna; perciò parve all'ingresso, che fece Olimpia nella casa Panfilia s'accoppiasse la fortuna al valore dell'heroiche virtù di Giovanni Battista. Ascese in ( f. 272 v) questo mentre alla Cattedra di Pietro il cardianl Ludovisio, che poi fu chiamato col nome di Gregorio XV. Questo per dimostrarne gli effetti d'una vera Amicitia, ch'havea ne gl' anni adietro col gia cardinale Geronimo Panfilio, volse honorare l'Avvocato Concistoriale nipote della carica d'auditore di Rota. Doppo pochi mesi, essendo il suo deisderio di portarlo innanzi gli delegò la potesta di Nuntio Apostolico in Napoli ( continua descrizione carriera di Giovanni Battista, con nunziatura in Spagna, da dove si arricchì)

Ripreso da f. 273 v) All'hora Olimpia, ritornato che fu il Cognato, scorgendo la Casa aggrandita di riputazione e di ricchezze, incominciò à prendere avantaggio ancor essa tra le Dame primiere di Roma. Onde la Corte vidde ad un tratto risplendere in lei, come in uno specchio gli effetti di impraticabile superbia, et ambitione, si che per mantenersi poi ( f. 274 ) nel grado eminente dell'incominciate grandezze non rivolgeva il pensiero, che à modi d'aumentar le sue fortune, e di far lucri benchè illeciti per satiare l'ingordigia della sua avaritia. Et invero cotanta era l'avidità di questa Donna, il che appena le miniere del Perù, et le ricchezze di Creso haverebbero sodisfatto al suo insatiabile appetito. Chiari ne furono i segni della sua avara sete all'hora quando, asceso al pontificato Panfilio, si frapose negli affari del governo, e nelle pubbliche amministrationi di stato non ad altro fine, che per aggrandirsi nei tesori de poveri Sudditi.Ells sopportata conniventemente nel Dominio di Roma dal Papa, non operava, che per acquistar ricchezze, ne dispensava li favori della Chiesa, che à prezzo d'oro. La politica di Costei, ( se tale lice chiamare l'incapacità di regnare f. 274 v) in una femina), non collineava che con il danno, et distruttione de Popoli , rimirando solo il proprio interesse. Onde da cenni di lei apprendendo parimenti il comando li Governatori ecclesiastici precipitavano nelle ingiustitie, et negli abusi di tirannica fierezza.

Questi per guadagnar la gratia, e sodisfare alle voglie di lei ammassavano insino nelle Are quantità indicibile di grani, e biade che prodigamente Cerere havea prodotte. Poi nelle rigidezze del verno, et in altri tempi calamitosi facevano languire di fame il povero suddito, rivendendo sotto falsi pretesti di mancanza quelle a prezzi eccessivi, e che a loro più gradivano.E questi non sono forse effetti, et apparenti contrasegni d'una Tirannia de' qual maggior dimostratione si può havere in una Regnante di Tiranno, che il vederlo far morir di fame i suoi Popoli ?. Olimpia affettionata all'Imperio, benchè come ( f. 275) Donna molto più atta al maneggiar i scettri d'Amore, et inhabilissima al governo politico, non sapeva usare che barbarie ne sudditi. Onde sebbene procurava celare quei negotij, che la specificavano Tiranna erano tuttavia penetrati da ognuno, ne si sentiano, che imprecar del continuo mille Maledittioni a chi gli accagionava tanta penuria. Del che spinte le genti à grandissima rissolutioni. Che pericoli non hanno scorsi li Governatori che per satiare l'avidità di costei, facevano perire di fame le Città? Non sono forse stati mille volte per esser in vittime delle turbolenze, e del furore? Quante fiate sono stati a rischio d'esser lapidati, e tagliati a pezzi dalla Plebe, et appena salvati per il valore de soldati corsi, ed altre militie? È certo per niente altro si vedevano circondar da perigli li Governatori, che( f. 275 v )per obedire, et essequire gli iniqui precetti d'Olimpia imperoche dicalo macerata quasi in humane miserie, e fierissime penurie non ha infelicemente tollerate? Dicalo Perugia quei tiranni che calamità non ha patito? Dicalo ascoli le crudeltà, che da Governatori adherenti alle prave voglie di questa Donna hanno provato? finalmente dicalo Fermo, che oppresso cotanto dall' ingiurie della fame , fu sforzato a scuoter il giogo di quella imposta Tirannide all'hora quando vedendosi posto in tanta calamità per le crudel amministrationi di colei, che a guisa di Nerone tionfava nelle ruine de' suoi popoli, non puote trattenersi di non inferocire, non potendo Olimpia, almeno nel suo seguace ministro di quella, Dovevasi caricare una nave de grani in quel Porto per esser trasportati al servitio di Napoli, che ancor egli per li ( f. 276) passati, e freschi tumulti si trovava famelice, e penurioso; onde accortosi il Popolo, che il Governatore Monsignor Visconti milanese, e qualificato soggetto per alimentare gli esteri, levava il cibo di bocca alli proprij cittadini, fece contro d'egli una coraggiosa rissolutione, et animosa ribellione. Avvalorato dall'impatienza insopportabile della fame, et acciecato dal furore, diede d'improvviso ne gli eccessi più crudeli, che somministrar li potesse quella confusione, corse con impetuoso assalto per opprimere quello, che andava somminsitrandogli l'oppressione. Onde lo sfortunato Governatore assalito quasi da furie d'Averno restò scherzo, e ludibrio di quell'armi. Ucciso, e trucidato fu fatto spettacolo d'una compassionevole tragedia, mentre che ancor morto lo strascinò per la città, e conosciuto mezzano di simili affari, quasi obbrobriso esecutore de gli secreti et inqiui comandi d'Olimpia gli recise il ( f. 276 v) naso, et le orecchie. Che più per dimostrare che non serbava cuore virile, abbracciando, esomministarndo gli ordini abominevoli d'una femina, gli tagliò parimenti i genitali, e persino maggiormente lo volse seppellire nel cimitero degli appiccati. Benchè dal Commissario pontificio Monsignor Imperiali fatto poi cavare dall'ignominiosa tomba, gli furono fatti nell'Arcivescovado da tutto il Clero de' religiosi secolari e regolari gli funerali di nobilissime essequie e chi mi negarà che queste non siano state cose tutte cagionate, e partorite dall'avaritia di Olimpia, s'ella è stata la primiera direttrice di tanti mali, e di tante estorsioni Anzi che d'avantaggio danni maggiori sarebbero seguiti, se in questo mentre trovandosi a Civita Nova luoco vicino a Fermo il cardinale Montalto non accoreva a remediare con il suo valoreà tanti, e si esecrandi inconvenienti s'adoprò di si fatta maniera coll'alterato popolo, che con promesse ed espressioni ( f.277) di sicurezza asserendogli il perdon generale, e l'indulgenza del Pontefice, mitigò l'asprezza di quegl'animi.Egli con elegantissima affabilità rappresentandogli, che Sua Beatitudine ingnara delli mancamenti, e tirannie de' Governatori, e Ministri certamente hora venendo in cognitione della verità, sarebeb condescesa facilmente al perdono; onde gli fè depporre( sic) le armi, e desistere dalle corrispondenze che haveano con altre Città, e Popoli malcontenti di gettarsi in Campagna, e formando un esercito ?' à danni maggiori. Così quei?' a guisa dell'Onde dell'Oceano agitati da turbini impetuosi di sdegno, restorno dall'aura placidissima delle parole del Cardinale posti in una calma di non stimata quietezza. Onde acquietati li Fermani fecero ancora pausa li Popoli circonvicini, che per acquistarsi ( f. 277 v) libertà, e liberarsi dal crudel dominanza d'una Donna corrispondevano con l'affetto e con gl'efetti d'aiuto alle ammutinationi già cominciate. Ma data credenza al discorso del cardinale rimase defraudata la mirabil Città dove giunto Monsignor Imperiale con 4 mila soldati guidati sotto il comando del Conte Vidman si prese subito a maneggiare il rigore della Giustizia et à render ad ogn'uno il guiderdone delle sue opere. S'atterrì d'improviso tutt'il popolo, e se gli aggicciò nelle vene quel poco di sangue, che gli era avanzato dalle msierie della fame, mentre ne corse avviso che tutte le Militie eccelsiastiche Marchiavane alla volta di Fermo Insomma o che il destino ò la pessima volontò di Olimpia cospirasse alla rovina di questa Città, le genti che non erano cadute dalla penuria di viveri furono poi finalmente all'ultimo suplitio ( f. 278) condannate in parte fra le tenebre d'oscure priggioni detente, altre sententiate alla Galera, altre essiliate, altre et in gran numero capitalmente bandite con la confiscatione dei loro beni. Et acciò non germogliassero più gli rumori, e sussurri della ribellione furono spiantate sino da fondamenti tre caser selle più principali, che illustrassero quella Piazza, si che la desolata, e miserabil Città è giunta a tante sciagure, che non si sa invidiare alle ruine di Sanguento alla destrutione de Cartagine, et alli danni della già decantata ?? Troia.

Appresso le cui formidabili, e spaventose calamità furno picciole le solevationi di Perugia, le quali non poterono osrtire gl'effetti della ribellione, impediti dal cannone della fortezza. Ma per questo però non si restò di vedere una generosità d'animo ne' loro petti, che gli incitava a fa gran cose, ( f. 278 v) mentre più volte si risolse di buttare a terra le porte de forni, e di magazzeni, ove se trattenevano ristrette le farine, e formenti per loro vitto. Et in vero vedevasi sul ponto dell'ammutinatione non curando più l'esporre a manifesti perigli la vita, mentre dall'altro canto ancora languivano ne' confini della morte. Avvisato il Sommo Pontefice dell' emergenti inconvenienze ch'erano di momento in momento per invaporare ? dall'intestine dissentioni di quella città, determinò accorrervi con l'assistenza d'un nuovo Governatore e tutte queste cose erano originate dalla secreta ingordigia d'Olimpia, le cui grandezze s'ergevano sopra le miserie de'Popoli, la cui avidità si satollava dolo con il sangue de meschinelli. E da chi mai apprendesse gli assiomi di regnare Olimpia, col fabbricare i suoi furti sopra la destruttioni de sudditi? Da quali scole ( f. 279) sei stata ammestrata di tal politica? Certo da niun altra, che da quella di Dionigi Siracusano e da quella di nerone, quale potiamo dire ti sia stato e Guida, e Precursore nella tirannia di Roma? Tutte le cose maneggiate da questa Donna andavano à naufragare ne' scogli dell'iniquità la Giustizia che da Aristotele vien nomata anima del Governo, non si poteva in altra forma adoprar nel corpo politico, che all'usanza de' sospesi e ocndannati, mentre dalla crudeltà di questa Tiranna fu appesa con un fil d'oro acciò non potesse dare, che de calzi all'innocenza. Caso veramente strano in un Regno, nel quale viene messa la giustizia al patibolo per non riconoscere il merito de'Cittadini Hor cessino quanti politici crollano il loro sentimento nell'amministrar Repubbliche di persuaderci con l'evidenza delle sue le ggi: non a essere mezzo più sicuro ad un Papa (f. 279 v) Prencipe per mantenere la Corona sul capo che tener in equilibrio della Giustizia il premio, e il castigo per contrapesare l'opere de buoni, e rei Vassalli poiché Olimpia s'assicura il Governo di Roma col contrafar à tutte le buone regole d'una vera Politica, capestando gli Innocenti, et innalzando i Rei.

Di ciò ne può far testimonianza il Falconieri, il quale presentossi nelle carceri per discolparsi dell'imputatione addossategli da melevoli tralasciti li mali trattamenti, et il rigoroso procedere contro le qualità e grandezze della di lui persona in fine astretto abbracciare una grossissima compositione di denaro per restar assoluto non delle colpe, ma forse dall'innocenza. E ciò non per altro, che per haver mancato al tributo di riverenza verso di codesta dama, la quale partita un giorno dal Principato di S. Martino( f. 280) verso Roma, e coreggiata di molte, e nobilissime dame ambiva d'esser accolta nel passaggio, e riverita con'ogni Maestà nel palazzo di detto Falconieri: Che però preso il camino, che va a riferire ne' contorni di un casale di quel Signore, quale trovavasi appunto ne' gli agi di quelle delitie. Non hebbe da quegli quel cortese invito di ricognitione, e d'accoglienza, che stimava essergli dovuto, ma il Falconieri non havendo forse commodità di ricever all'improviso matrone si fatte, non osò accorere alla riverenza à gli ossequij per invitarle nelle sue habitaztioni. Arrestò Olimpia dal non vedersi incontrare dal Calliere ( sic9, e come quella che ambiva gli ossequij di tutt'il mondo dal non vedersi riverire da un suddito della sua partenza. Accesa di sdegno arrivò in Roma, dove per mostrare gli effetti della sua ingiustissima colera, fece di subito (f.280 v) uscir Commandamenti ( sic) penali, che nel termine di pochi giorni detto Signore presentarsi si dovesse nelle forze della Giustitia : E di ciò ne prese occasione da una tal querela ( poiché le attioni de Tiranno pare siano sempre palliate con il pretesto di qualche calunnia) data contro Oratio sin quando viveva il cardinale Falconieri suo fratello. Nell'acusa de quale appariva che egli havendo dato recapito ad un bandito capitale dello stato nella villa, ove desiava esser accolta Olimpia, fosse incorso conforme all'uso delle leggi nella pena di delitto; ma non essendo mai constata chiarezza evidente di simil recapito, era la causa passata nell'oblivione ?: Onde Olimpia ricercando di vendicarsi dell'affronto ricevuto, non seppe trovare occasione più oportuna, che destar sogni, e chiamare alla luce cose già longo tempo sepolte (f. 281) nelle tenebre della dimenticanza. Intimorì Orazio soprafatto dal grido di si strano accidente, pur riandata?? con ogn'esatta deligenza l'innocenza di sé medesimo, per non vedersi rapir dall'ingie del fisco i suoi beni si arrese all'obbedienza di quei ingiustissimi comandi. Le ingiurie, et obbrobiosi strapazzi, che và sofferendo nelle carceri , empirebbero mille carte, basti solamente che per liberarsi dell'impostura falsamente orditagli si tratta la compositione di 300 mila scudi, giudicata la terza parte delle sue facoltà. Né per altro soccombe à si grossa penitenza, se non perché si è trattenuto da gli inchini di una tiranna.

Ma ah che non contenta di dominare ne' sudditi, e di farne quei strapazzi, che sin qui si sono sentiti, pretendea ancor haver la predominanza ne' cardinali. Quei cardinali che riveriti da Principi, honorati ( f. 281 v) da Nemici, favoriti da tutto il Mondo, venivano vilmente da costei ad essere calpesati e vilipesi. Quei che fatti base, e sostegno delal Sede Apostolica dall'imperiosità di Olimpia scossi vacillavano predominati dall'incostanza feminile. Dicalo il cardinale Sforza, che non potendo opporre ostacolo alcuno alla corrente delle sue violenze, rimase ? dalle ingiurie di quella; onde più tosto, che venire a tenzone con una formica, la cui potenza s'era avanzata al supremo grado di regnare si ritirò da Roma, e per non attaccar guerra civile col Sacro Collegio de'cardinali rinonciò tutte le sue ragioni alla sorte: e che cosa né accagionò allo Sforza simil disgrazia? Se non perché non puote tollerare gli abusi delle sue male operationi. Che però con una senplice risposta lo fè cadere dalla gratia di lei, mentre in Concistoro hebbe a dire non essere conveniente al cardinale Maidalchini di lei nepote, che in absenza del cardinale Antonio Barberino facesse la funtione d'aprir la Porta Santa della Basilica di Santa Maria Maggiore, ma che spettasse bensì ad uno de maturi Cardinali insignito del carattere presbiteraile. Il che riferito a Donn'Olimpia s'infiammò di tanta colera verso lo Sforza, come quella, che portava la protestatione del Cardinalino, che lo fece privare in un subito della carica di Vice Camerlengo di Santa Chiesa. E così per non adherir à suoi sensi, mostrando di sentir male le sue tropp'alte pretensioni, fu rimproverato di temerario, e di più sforzato ad abbandonare le sponde del Tebro, si condusse come già dissi alla propria Residenza in Rimini. Insomma usurpatasi le fasci ( f. 282 v) dell'Imperio romano voleva nei cenni esser riverita, ne' commandi adorata. I suoi sensi eccitati, e mossi da un'imbecillità donnesca, voleva tenessero il rigore di leggi irrevocabili, e li contradditori di quelli fossero dechiarati Rei di Lesa Maestà. Per queste cose non penetravano le nostre Sante orecchie ò Padre Beatissimo con tanta tolleranza passavate gli disordini, e irragionevoli abusi di Olimpia, a cui altro non mancava, che levarsi le corone di testa per farsi lei Prinicpessa. Era ben di dovere, che sendo della casa Panfilia, e fosse honorata in quella Maestà che comporta il grado di Cognata di Pontefice, ma non giamai, che si arrogasse tutta la potestà del Pontificato. ella per esser padrona della vostra gratia, quali barbare e sacrileghe costumanze (f. 283) non ha cagionate? I Capelli Cardinalitij erano si può dire, come subhattati, e dati à chi più offeriva ricchezze ad Olimpia come mediatrice, e quasi principal dispensiera di simili honori. Le Mitre Episcopali si contrapesavano più con il merito della virtù, mà ben si con la quantità de gli argenti. Insomma tutti li beneficij di Santa Chiesa fatti venali dall'avaritia di costei anichilavano ? la Simonia, e passavano in una riforma di vera mercantia le sostanze di Pietro non più per honorare il merito della Cristiana Religione, mà bensi per favorirne il demerito di qualched'uno erano dispensate da Olimpia solo per accumular tesori. Onde io mi do a credere, che se fossero capitate alle mani d'Olimpia le stesse vesti di Christo, come panni pretiosissimi non più all'usanza de gli Ebrei le haverebbe poste alla Corte ?, mà bensi le haverebbe incantate per cavarne tesori da satiarne la sua sempre più ? volontà; in prova di che fa a mio proposito quel caso ridicolo, che intervenne à quelle povere serve d'Olimpia le quali furono costrette a dechiarare insatiabile la di lei avidità. Si trovavano nella villa panfiliana per mondare i lini di Olimpia, e delal casa Panfilia queste misere donne all'hora quando vedendo venire Vostra Beatitudine in Carrozza a sollevare alquanto l'animo nelle verdure della campagna, corsero immediatamente a prostarsi a terra per chiedere la benedittione, delal quale consolate restorno ancora favorite d'una dobla per ciascuna di esse. Dal che avvisata la buona Donna non potendo soffrire che ( f. 284) quella carità havesse luogo nelle meschinelle non so con qual pretesto, voler indietro le doble, e le contracambiò con due paroli per ogn'una. O bassezza d'un alma non mai di Principessa, o viltà d'animo d'una Signora, che ambisce tutte le grandezze del mondo, O esecranda avaritia, o abominevole sete d'oro à quasi indecenze, et infami attioni non provochi costei?

E pur per ritornare di nuovo a noi ò Santissimo Vicario del Cielo non raffrenavate tanta libidine di questa Donna? Non gli levavate l'occasione di comettere tanti eccessi, e si esecrandi misfatti? Quasi come a spettacolo delle di lei prave attioni sedevate spettatore schernito, e deluso; né v'avvedevate che lei per illustrarsi con le ricchezze della Chiesa cercava oscurar, et ammachiar la ( f. 284 v) candidezza del vostro innocentissimo nome? Olimpia, che altro non suona che empia di si fatta maniera s'insinuò nella gratia del Papa, che quasi sirena nelle maggiori urgenze, col canto lusinghiero delle sue parole lo addormentava e ne riportava trionfi della sua persona, pareva veramente ammaliato dalle adulationi di costei, onde non sapeva che approvare li suoi mali consigli, seguire le dispositioni della sua mente, e comportare li suoi pessimi andamenti; E' di meraviglia, che una donna gli habbia sviato l'intelletto dal dritto sentiero dell'operare, poiché altre volte habbiamo vedutop uan femina indur S. Pietro a non conoscer più Christo, a privare Adamo della gratia di Dio, a far preda, e scherzo de' nemici, un Sandone tenuto e riverito da tutti. Con tutto ciò non resta d'apportar qualche stupore al mondo, che un Pontefice capo della Chiesa Romana fosse da costei fatto favola delle genti; mentre che nella Germania, gli heretici acerrimi persecutori de' nostri Santissimi riti prendevano occasione dal Dominio, che lei haveva nella persona del papa, di dipingerlo con la conochia al fianco torcente il fuso, et Olimpia con le tre Corone in capo intronizata Papessa, quasi che lo volessero favoleggiare per un novello Alcide ? che acceccato dall'amore di una femina fu fatto ludibrio con il fuso alle mani d'alcune femine della Tracia, di cui il Tasso così cantò:

Mirasi là fra le meonie Ancelle/ favoleggiar con la conocchia Alcide/ se l'inferno espugnò, resse le stelle/ or torce il fuso, Amor s'el guarda e ride

(f. 285 v) Da qui avvenne, che vedendo li Principi Christiani l'ingiurie fatte al Sommo Pontefice, tutti uniti fecero, che i loro Ministri ne portassero le doglianze al cardinale Panzirolo acciò questo sensatamente ne avvisasse sua Beatitudine, poiché li calvinisti scorgendo li molti scandali, danni e abominevoli abusi derivati dall'avaritia d'Olimpia coll'haver con ricchi regali fatto comprare ad alcuni cardinali creature d'Innocenzo il cappello, a Prelati ufficij, e dignità e altre cariche, et honorevoli Servitij, detestando il Governo di Roma si misero a far correre scritture, che non solo avvilivano la Maestà di Costei, ma troppo offendevano la sede Apostolica, e l'innocenza dello stesso Papa. Perciò a pieno informato Panzirolo si portò con ogni riverentia da Sua Beatitudine per levargli il velo dagli occhi, e farli vedere, e toccare (f. 286) con mano gli pessimi andamenti e costumi di Olimpia, che ne partorivano tanti mali. Sentito volentieri il Panzirolo dal Pontefice né scoperse affatto i danni et intolerabili abusi, che erano originati dall'avaritia d'Olimpia; onde scossosi alquanto dalle malie, e dalle adulationi della cognata e riflettendo nello specchio della Verità le specie reali delle sue ingorde voglie si risolse di pensare maturamente al rimedio. Che però destramente deisderando provedere a questi interessi prese occasione da Rinalducci coppiere di Olimpia, il quale benchè di non molta bellezza, gentilissimo nondimeno nel trattare s'era guadagnato totalmente la di lei gratia. Egli servendogli da mezzano, e mediatore di vender le gratie di compartir, d'interceder favori, tenea appresso la patrona il posto di favorito, onde d'improviso fece fare ( f. 286 v) il Papa, che in termine di tre ore dovesse sfrattare da Roma, e di tre giorni dallo Stato soggetto alla sua Giurisdizione: stando( o bandito ?) che vidde (sic) Olimpia il Coppiere, scorsi ?', che la fortuna volea parimenti pigliar da lei congedo et fu falsa la sua oppinione ( sic), poiché creato cardinale Monsignor Astalli, e dechiarato nipote di Sua Beatitudine hebbe il maneggio, et il governo di tutte le cose sopra le quali signoreggiava Olimpia, anzi di più essendo finalmente ancor essa destinata a provare le peripetie della fortuna non solo è stata deposta dal grado eminente di reganre, ma ancora dal governo della stessa casa Panfilia onde per la sua ingordigia si vengono ben in lei ad avverare quei versi di Claudiano " Tolluntur in alter ut lapsu graviore, ruant" ??

( f. 287)La sua caduta si come discende dal soglio delle più alte grandezze pare sia tanto più vergognosa; e perciò non potendo trattenere l'angoscia del suo dolore parmi in simil guisa sentirla a lasciar il freno alla lingua per rimproverare chi n'è stato cagione.

"Quell'Olimpia, che fui del grande Impero

Regnatrice di Roma, et hebbi à pieno

il dominio fastoso del Tireno ??

le ?' d'un Seian ? riprovo altero

ecco caduta dal sovrano soglio/

le percosse crudel dell'empia sorte/

sforzata à sostenere; hora di morte

vivo nell'amarezze, e nel cordoglio

l'avara sete mia, che di tesori

solo si satollava si nutriva

di quelle gran ricchezze fatta priva

ingiusti ?? rimproveri, e rancori

E perche mai fortuna iniqua, et impia

Dall'auge degli honori a terra oppressa

D'improviso vedersi al fin depressa

Volesti, et abbassar la Grande Olimpia?

E più sembrava, che la Mobil Rota

de gli honori tu havessi immobilmente

ferma per favori perpetuamente,

non sendo stata male di gratie ??

Ma ahi folle alfin ch'alla fortuna crede

Poiché seguendo l'uso femminile

Incostante sara sempre il suo stile

Né mai si mostraria piena di fede

Se ben le mie querele a Panzirolo

Solo devo indirizzar; poiché egli è stato

Il traditor primiero, ch'ha abbassato

D'Olimpia il nome glorioso al suolo

Né mai fui di parer, che sotto il manto

D'una porpora, vil alma regansse

Né mai, che i gesti miei già querelasse

Quegli ch'amai, e favorij cotanto

(f. 288) Pur ecco al fin tradita. Ah rio destino

che sublimarmi al Ciel sino? tentassi

acciò colpo maggior hoggi miei fasti

ricevessero poi nel suol latino

Non più da lunga schiera corteggiata ?

mi lice altera andare nell'audientia,

mà privata di tutta l'adherenze

vivo da ogni decoro abbandonata

Entro solingo e solitario tetto

mi trattengo lontan da altri infidi,

e secretarij ancor tacendi, e fidi

faccio i muti ??, del mio petto

Qui il popolar non odo grido altero

Che della mia sfortuna alto rimbomba,

festeggiando ciascun, che habbi la tomba

dell'angoscie, caduta dall'impero

Né invero alcuno v'è, che scherzo e gioco

Non prenda dal vedermi in cotal fatto

Quasi che di Comedia Olimpia un atto

ridicolo formasse in questo luoco

( f. 288v ) Però più non mi lagno. Che teneva

se la mia vita mortal è con raggione

un teatro di comiche persone

dovea formar anch'io cotesta scena.

E cosi Olimpia ripresse la lingua, ne tra?? in maggiori lamenti sperando ricuperare quella gratia della quale fu per il passato assoluta Padrona; per ricompesare più con fatti le querele di Panzirolo, e con altrettanta tirrania l'alterezze de' sudditi. Ma penetrate à pieno da Sua Beatitudine l'ignominie, e dishonori, che accaggionava al suo Pontificato, l'ingordigia di costei, stimo che per l'avvenite viverà però in penitentia de' passati errori digiuna di nuove grandezze e favori

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