Santa Maria dell'Orto 
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Indirizzo: (Rione Trastevere)
La chiesa di Santa Maria dell'Orto
di Eleonora Canepari
Il muro su cui era dipinta la Madonna dell'Orto, che aveva miracolato il suo primo devoto, con gli anni divenne qualcosa di molto più imponente: una chiesa e un ospedale. La costruzione della chiesa di Santa Maria dell'Orto ebbe inizio nel 1495, e terminò durante la seconda metà del secolo successivo. Associate all'omonima confraternita erano una decina di corporazioni del settore alimentare: il carattere associativo e "federativo" della chiesa si riflette nella ricchezza del suo ornamento. Lo spazio della chiesa di Santa Maria dell'Orto colpisce infatti per la ricchezza e la quantità delle sue decorazioni (pitture, targhe, sculture), frutto dello sforzo quasi concorrenziale delle singole arti aggregate di mostrare la propria potenza. « Questa chiesa è stata questa rinnovata, messa a oro, dipinta, e ornata di vaghisimi marmi, e di bellissimi stucchi a spese delle Università de' Fruttaroli, e Pizzicaroli, come in diversi luoghi si legge». Così scrive Filippo Titi nel suo Descrizione delle Pitture, Sculture e Architetture esposte in Roma, stampato da Marco Pagliarini in Roma, nel 1674, a proposito della chiesa di Santa Maria dell'Orto. Quella delle Arti è una presenza estremamente tangibile all'interno della chiesa: esse hanno concorso ad abbellirla in una misura che rispecchia l'intenzione di ciascuna di esse di dimostrare la propria potenza rispetto alle altre.
Le arti segnalavano la propria presenza con oggetti di loro appartenenza o iscrizioni. Ogni arte aveva una propria cappella, la cui costruzione e manutenzione rappresentavano una spesa ingente, se si pensa che alcune corporazioni destinavano per statuto parte delle entrate provenienti dai trasgressori alla cappella dell'arte. La chiesa era per le arti un luogo dalle molteplici funzioni: oltre che spazio associativo, essa rappresentava il concreto spazio fisico per dimostrare la propria presenza nella città ed eventualmente la propria forza e potere.
Per ornare la cappella dell'altare maggiore dedicata alla natività della Vergine, di cui aveva la proprietà, l'università dei Fruttaroli sostenne ingenti spese alla fine del XVI secolo, spese che ne aggravarono la situazione finanziaria nonostante le donazioni, talvolta molto consistenti, dei membri dell'arte. Nel 1674 l'università dovette imporre ai propri uomini il pagamento di un giulio ogni sei mesi per il rilascio della licenza, per garantirsi un aumento delle entrate e poter così far fronte alle spese per la cappella e per l'ospedale. Allo stesso scopo nel 1692 l'Università decise di far pagare un grosso al mese dai membri dell'Arte, segno che la situazione finanziaria non era ancora migliorata.
Nel 1686, il "fruttarolo" Francesco Mattei fece un lascito testamentario di 1500 scudi, che l'università investì in 14 luoghi di monte e che erano espressamente diretti a mantenere la cappella dell'altare maggiore.
La cappella più prestigiosa era senz'altro quella dei Fruttaroli, tuttavia ogni arte aveva la propria. Il Collegio dei Mercanti e Sensali di Ripa possedeva la cappella cosiddetta dell'Annunciazione (1543, la prima della navata di destra), decorata con dipinti dei famosi fratelli Zuccari. La cappella dei mercanti del porto di Ripa fu fatta restaurare da un tale Anselmo Speculino nel 1561, uno dei tanti confratelli che così testimoniava il suo legame con la Madonna dell'Orto, nominandola sua erede universale.
Restando nella navata destra, troviamo la cappella dei Vignaroli, dedicata a San Giacomo, San Bartolomeo e Santa Vittoria, ornata da dipinti di Giovanni Baglione, eseguiti su commissione del ricco pizzicagnolo Bartolomeo Fregotto nel 1630. Proseguendo, la quarta e ultima cappella di destra è quella dei Pollaroli, dove troviamo l'altare donato da Bartolomeo Basso nel 1591. I Pollaroli sono gli autori del dono più originale tra tutti quelli fatti dalle arti alla confraternita: un grande tacchino di legno, conservato nei locali dell'oratorio. I Molinari, invece, testimoniarono la propria presenza e ricchezza donando un organo alla chiesa alla fine del '700, restaurato poi nel secolo successivo a loro spese.
Nella chiesa, le arti avevano anche il proprio sepolcro, situato di fronte alla cappella di pertinenza e segnalato da grandi targhe poste sul pavimento, e in alcuni casi decorato con i motivi distintivi dell'arte. Infatti, erano numerosi i confratelli che, nel loro testamento, esprimevano la volontà di farsi seppellire a Santa Maria dell'Orto, spesso donando un lascito di varia entità, in cambio di alcune messe da celebrarsi in favore della loro anima.
Ogni arte lasciava dunque tracce importanti della propria presenza nella chiesa, spesso personalizzate dalla "firma" di colui che aveva investito i propri soldi nel restauro o nell'abbellimento degli spazi. Così fece il pizzicagnolo Ambrogio Pecci, che, al culmine di un percorso di ascensione economica e sociale, fece decorare la cappella degli Scarpinelli, dedicata ai Santi milanesi Carlo, Ambrogio e Bernardino. Bartolomeo Fregotto commissionò il dipinto della cappella dei Vignaroli, Anselmo Speculino pagò i restauri della cappella dei Mercanti e Sensali di Ripa, Bartolomeo Basso donò l'altare della cappella dei Pollaroli, l'ortolano Luciano Brancaleoni fece restaurare la cappella della sua arte (detta di San Sebastiano).
Le iniziative dei singoli confratelli sono testimoniate da targhe che recano i loro nomi, e che documentano una volontà di riconoscimento del gesto compiuto. Chi poteva permettersi di commissionare un dipinto era certamente benestante, dunque non tutti i confratelli potevano arrivare a tanto. Tuttavia, i gesti "generosi" nei confronti della Compagnia sono estremamente diffusi, come ci testimoniano le targhe che letteralmente tappezzano i locali dell'oratorio accanto alla chiesa. In una di queste è ricordato il pizzicagnolo Eutizio Marchionni, da Piedivalle di Norcia, guardiano dell'arciconfraternita della Madonna dell'Orto, che «(...) lassò per legato alla mede[si]ma scudi 200 con peso di far celebrare quindeci messe basse et una cantata l'anno in perpetuo nel tempo della sua morte che seguì in detto giorno che fu aperto detto testamento.»
Lo spazio della rappresentanza si intrecciava strettamente con quello dell'azione caritativa. Le donazioni dei «benefattori» erano spesso impiegate dalla compagnia per intraprendere azioni di assistenza e soccorso all'indigenza, quali la dotazione delle ragazze povere, e per provvedere all'ospedale omonimo.
Bibliografia di riferimento:
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P. Becchetti, L'Ospedale di Santa Maria dell'Orto, in «Strenna dei Romanisti», XLII (1981), pp. 40-57
E. Canepari, Stare in compagnia. Strategie di inurbamento e forme associative nella Roma del Seicento, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007
G. Castiglione, Regole generali della Chiesa, Casa ed Ospedale della Ven. Archiconfraternita della Madonna SS.ma dell'Orto, Roma 1795
Centro "Luigi Huetter" per lo studio e documentazione sulle confraternite e le università dei mestieri, Attività 1981 - 1988, Arciconfraternita di S. Maria dell'Orto, Roma 1988
F. Fasolo, La fabbrica cinquecentesca di Santa Maria dell'Orto : con nuovi documenti su Jacinto di Jacobo da Vignola, Guidetto Guidetti e Francesco da Volterra, Roma 1945
M. Festa Milone, La facciata di Santa Maria dell'Orto di J. Barozzi da Vignola: genesi di una idea progettuale, Tipografia V. Ferri, Roma 1977
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