Il cardinal Ferdinando al granduca Cosimo

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Roma, 25 luglio 1571

Med. 5085, [già num. 255], cc. 537r-538v.; 544r.

Hebbi la lettera di Vostra Altezza de’ 18 et, visto quanto la mi scriveva, feci resolutione fino all’hora di parlare con Sua Santità di nuovo in materia de legati a Cesare et a Francia, il che m’è convenuto differire fino a hoggi sì per altre sue occupationi, sì perché avanti hieri in Belvedere le cascò una tavola sopra un piede che a un altro, in questo aere massimamente, haria procacciato fastidio per molti giorni, ma a lei, dopo qualche dolore di quella prima notte, non ha poi portato altra noia, né impedimento nei negotii. Stamane sono stato con lei lungamente et, per conservarla col procedere mio libero nella sua libertà del parlare et così cavar l’animo suo più certamente, gl’ho letto il capitolo istesso che Vostra Altezza mi scrive in risposta sopra questa materia, pigliando quasi per subietto di ragionare et trattare ordinatamente seco. Quanto alla espeditione di Commendone, stava ella pur nel medesimo suo parere et con le medesime ragioni. Ma, replicandole io, oltra le altre cose, che de principi era ben buono conoscere l’humore et il fine, ma non già sempre era utile, anzi spesso dannoso, il mostrarli di conoscerlo et star su le sue, quando si voglia da loro, poi che avveniva spesso che ciò operasse effetti contrari a quelli che si desiderano, come discorsi //c.537v.// minutamente venendo a qualche particolare, onde ella s’accordò finalmente che ciò fusse vero et che, per altre ragioni allegate da me, saria superfluo aspettar (secondo il primo disegno) la risposta d’Alessandrino et promesse di chiamar a sé domattina quel dottore et espedirlo con ordine a Commendone di partir subito. Così dovrà seguire et io sarò domane da Rusticuccio per operar che non si interponga tempo per qual si sia respetto.

Per Francia tenne ferma la sua prima resolutione, dicendo che già loro Maestà s’eran contentate, et non valse cosa ch’io modestamente dicessi in contrario. Et toccando io del precursore per venire alla mutatione del nuntio, ella entrò da sé a dir che era resoluta di mutar il nuntio al tempo, ma non parerli già che la regina non confidasse di lui, havendogli ella conferito cosa di grandissima importanza, et che di Loreno non era egli quell’amico che si credeva. Io risposi di sapere che la regina parlava seco non come con vescovo di Gaiazo, maa come con nuntio di Sua Santità et che come con tale se le fussi anco aperto inimico, ella saria anco per parlar d’ogni cosa, non perché più volentieri non trattasse le cose sue con altri, ma per che havea carestia d’homini secondo //c.538r.// il cor suo, et egli era ministro di Sua Santità a cui per nessuno respetto volea lassar di mostrare gratitudine de benefitii ricevuti et la cui protettione desiderava conservar per le cose sue in tutti i modi. Et che non credevo che Vostra Altezza affermasse, come faceva, della poca fede che le havessero loro Maestà a quelli principali, se non n’havesse cosa più che certa. Et che, con tal fondamento, non dubitavo potere essere che egli si fusse di nuovo restretto con Loreno perché, sebene per altro già era poca intelligenza fra loro, ci era però hora conformità di volontà nelle cose nostre senza altra cura del servitio o della mente della Sua Santità, a quali doveasi credereb che egli contrariarebbe facilmente sì per aggradire agli stimolatori suoi amici, sì per qualche mala sodisfattione che potea haver, sapendo che già un pezo ella vuol levarlo. Tornò a dire il medesimo et che Vostra Altezza consigliaria bene et che le mostrarebbe di fare capitale de suoi consigli. Et passando poi di cosa in cosa, come avviene ne lunghi ragionamenti, mi disse le cose esser a termine che se Vostra Altezza stesse sempre dicendo il Pater Noster, affermariano gli spagnuoli che la //c.538v.// bestemmiasse. Et che l’ambasciatore cesareo era stato a tentarla nelle cose di Ferrara con Vostra Altezza, con proporle che saria bene d’accomandarle, a cui essa, accortasi del suo parlare, havea dato parole generali.

Ho inteso la regola che mi dà del proceder col nuovo ambasciatore di Francia et, se arriverà avanti la venuta mia a Fiorenza, mi governarò conforme a essa, se ben ha qualche difficultà et non sta tutta in me, persuadendomi la commessione che egli tiene et qualche altro successo, che la regina s’ingegni da un canto accrescer per tutte le vie la diffidenza tra Vostra Altezza et spagnoli et che per ciò ce lo spinga adosso apertamente con li effetti et con l’apparenza et, dall’altro, con fare qualche favore a Ferrara et restringere così le sue gran demostrationi con lei, voglia darle martello; che tutto mira, per mio parere, a precipitare Vostra Altezza a qualche dichiaratione et lubricargliene la strada quanto sta in lei. Ma spero che di qua non si commetterà cosa se non di servitio nostro.

Con Sua Beatitudine ho mostrato la confidenza che Vostra Altezza ha in Rusticuccio per tutto quello che occorra trattarsi fra lei et Sua Santità et, se ben non //c.544r.// replicò con molte parole, dalle poche però et dagl’atti conobbi che lo sentiva con piacere et si varrebbe di quel mezo all’occasioni.

Si cerca l’esempio del breve penale di Giovanni XXII et si andarà facendo una minuta per valersene quando parerà tempo. Ma sendo per terminarsi ogni cosa per mezo dello accomodamento con Cesare et mostrandosene da suoi quella voglia et facilità che ella conoscerà dalle lettere allegate di Pacecco, le quali per ricordo di lui si mandano con corriero espresso, non vorrei che cercassimo cosa la quale fusse per subvertire et guastar tutto il negotio. Pure io farò quanto mi sarà comandato da lei, alla quale non havendo altro che dire in risposta della suddetta sua et dell’altra de’ 23, resto con basarle la mano pregandole continua prosperità.

Di Roma li 25 di luglio 1571.

a Da “non... ma” marg. sinistr. con segno di richiamo.
b Crederer, -r barrato.