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Roma, 22 giugno 1571
Med. 5085, [già num. 234], cc. 494r-499r.
Non andai poi da Sua Santità il giorno disegnato da me, sendo occorso di veder prima a qual termine si trovasse la espeditione per Germania, per sapere se opra alcuna bisognava farne con lei, il che non fu prima che sopragiugnesse questa settimana di tante occupationi per Sua Beatitudine che fino a hieri non potetti haver buona commodità. Hieri la trovai non solo non stracca d’audienze o d’altro, ma dopo la sua cena tutta recreata et ben disposta. Le mostrai la copia della lettera del re, la quale io havevo ridotta in italiano per più capacità di Sua Santità che afferma intender poco della lingua spagnuola et si sodisfece di questo mio avvedimento. Quivi riconobbe Sua Santità l’arte spagnola in tutte le parti ch’io le notai, havendoli confermato non solo con l’omissione della data, ma con la nominatione d’uno et non di più ambasciatori, che la fu fatta già molti mesi et era serbata a questo tempo per non guastare le altre gratie et cose loro, ma per darle in ringratiamento di tanti doni questo grato et honorato offitio preparato molto prima. Notò da sé che di Siena parlava assoluto et di Fiorenza in un certo modo assertive, et domandò dove fussero //c.494v.// l’investiture che il re haveva di quello Stato dall’imperio, dicendo che saria forse bene di vederle. Dissi che credevo fussero in mano dell’imperatore et del re, a quali appartenevano, et che queste doversi presuponere note me lo persuadeva l’haverlo havuto Vostra Altezza da quel re. Rimase offesa di quella particella della lettera dove, parlando del padre, dice secondo lo stile di Spagna (che sta in cielo), dicendo maravigliarsi che egli, il quale sa imputarsi d’heresia l’arcivescovo di Toledo per che a Carlo V morendo disse che stesse sicuro d’haver havuto perdono de suoi peccati et andare in cielo, hora usasse d’affermare il medesimo, biasimando la frase et mostrando che dovea dirsi altrimenti. Parvegli cheb la lettera, oltra il leccare et mordere, minacciasse ancora nel fine, dove mostra esser per fare tutto quel di più che sarà necessario et disse che con questo et col mostrar congiunta la causa sua con l’imperatore et imperio, come facea, vorrebbono impaurirci, ma che questo non li succederebbe, se ben si cedeva a certe cose per usar tutti li termini di piacevolezza. Et in somma stimò quella lettera piena di arte et di tentativi. Ma molto più li piacque la risposta di Vostra Altezza ch’io li mostrai subito, dicendo che molto prudentemente usava //c.495r.// valore et humiltà, mostrava desiderio della quiete et teneva in reservo et honore la dignità di questa Sede et la sua istessa, rispondendo a tutte le parti in modo che il re non potria scandalizzarsi et vedrebbe che non siamo per correrci, et d’esse si ritenne copia.
Venne poi alle due degl’ambasciatori di Spagna, escusando il non mandarsi gli originali con le ragioni che dice Vostra Altezza, di che restò sodisfatta, dicendo non esserle mai per cadere dubio sopra quel che le venisse dalla mano sua. Et qui si estese a dolersi, dicendo che tanto manco doveano farle questo affronto, quanto più pronta et honesta sodisfattione gli si era offerta dalla banda nostra, ma che haveano mal’animo, et le haveano mostrato altre volte d’haver dato Siena malvolentieri et che poco innanzi ella s’era di nuovo doluta con l’ambasciatore cattolico del proceder del re, anzi del Consiglio che lo tirava in pugno et girava dove voleva, replicandoli quel che gli disse altra volta: che Sua Maestà havea belli Stati in Italia, et che dovria procurar di conservarli et non dar occasione a novità da le quali non poteva se non perdere poi che, movendosi ella, i principi d’Italia et li forestieri non starebbono a vedere. Et mettendosi poi meco a ragionare //c.495v.// come prima havea fatto a molti passi di quelle copie, disse che il re dovria trattener con una quasi più destreza questa Lega, perché li veneziani ci sono venuti et ci stanno a un modo, se le speranze vanno lente et si scuoprano inditii d’interessi privati, saranno per fare col Turco ogni accordo et cedere Candia, non che Cipro, purché tutto l’impeto si voltasse adosso al re, a che hariano sempre pronto Francia, che non per altro manda quel vescovo a Constantinopoli. Il qual parlare seguitando Sua Santità in modo che mi cadde in proposito, dissi il pensiero di Vostra Altezza essere di andar destramente preparando quelle cose che si vorriano c haver proviste et sono utili quando viene il bisogno et che una era di condurre homini di qualche servitio et valore de quali, potendo esser che alcuni le occorressed cavare di questo Stato, desiderava poterlo far con buona gratia di Sua Santità di cui stimava esser servitio parimente. Rispose subito esser contentissima che pigliasse chi li piaceva et di più che havea qui il signor Adriano et altri, i quali gli concederebbe et mandarebbe non solo i servitori et condottieri, ma li nipoti stessi a servirle dove il besogno o desiderio suo lo richiedesse, stimando così suo servitio et volendo che le fusse //c.496r.// sempre commune quanto sta sotto la sua mano. Et questo disse con tanto affetto che non poteva dar più efficace testimonio della sua constantissima volontà. Leggendo poi la copia di Francia, proroppe contro i ferraresi, dicendo che s’haveva bene levato dinanzi quel Bertazuolo sì che non vi andava più, et che anco all’ambasciatore cesareo fatto avvocato et procuratore loro dava tali risposte che assai ben poteva conoscere l’animo suo. Mostrava buonissima volontà in questo particolare, ma con segni di più tosto andar accumulando cagioni di risentirsi una volta da dovero, che di volere passare per hora a termini dentro a quali non fusse la sua dignità senza garbuglio. Mostrò buona sodisfattione della regina et conoscer che la governava ogni cosa, et che, se ben altra volta havea havuto mala opinione di lei, si era non di meno giustificato et la stimava buona catolica. Qui dissi io che la regina in quel regno forestiera, con figlioli piccoli et fra tante domestiche discordie et diversità d’interessi, era stata forzata per confermare la dignità et autorità sua et d’altri accomodarsi hor con questo //c.496v.// hor con quello secondo gl’accidenti et sempre studiar come bilanciasse la gratia, i favori et l’autorità per non guadagnare uno con la perdita dell’altro, onde era nato che, talhora adherendo per bisogno agl’ugonotti, fusse apparsa tale, ma che così richiedevano le ragioni ordinarie di stato et che veramente buonissimo era l’animo di Sua Maestà et catolico, come diceva la Santità Sua. Onde si dovrà carezzarla et mostrar nelle occasioni di far stima di lei, del re et delle cose loro. Approvò quel che io dissi et soggiunse che anco il re havea l’animo molto catolico, havendo nell’occisione di alcuni ugonotti mostrato con parole gran desiderio che così seguisse del resto. Così ragionando dissi io, per tentare, che potria forse haverle dato ombra la espeditione per al Turco di quel vescovo scommunicato, parendoe inditio di altro animo et che da simile persona et legatione non potesse sperarsi che mali effetti. Rispose che ben era citato, ma non scommunicato et che non si haveva la mira ad altro che alla depressione del re di Spagna, per la quale si cercava d’unir et fermar tutte le forze et che non saria anco di poco momento a ciò il casamento d’Inghilterra; che dubitava di qualche //c.497r.// giuditio di Dio contro al Catolico; né di queste pratiche franzesi mostrò punto di scandalizarsi.
Scopersemi pessima sodisfattione di questi ministri spagnoli et io le dissi che, mandando ella hora Alessandrino, haveva buona occasione di aprirsi col re et levar di qua quelli che non le piacciono, che debbono esser tutti, poiché per malignità loro è commune opinione che habbia Sua Santità molti fastidi da quella banda. Il che ella confessò, dando segno di volersene ricordare, et soggiunse che il re era aggirato da loro et dal Consiglio et più servo de loro interessi che re della sua volontà. Molte cose passorono per lo spatio di quasi due hore che Sua Santità mi tenne, la cui notitia non servendo lasso di scrivere a Vostra Altezza, bastandomi assicurarla che Sua Santità habbia molto aggraditi questi offitii di confidenza et si sia mostrata più che mai resolutamente congiunta con Vostra Altezza per ogni fortuna, che così mi disse, et io mi ingegnarò di conservarla, quanto starà in me, a tutte le occasioni.
Partito ch’io fui da lei, me n’andai da Rusticuccio, col quale, mostrandomisi egli molto amorevole et pronto nelle cose nostre, communicai, come soglio, quel che egli in ogni modo intende poi daf Sua Beatitudine //c.497v.// et (quel che m’era sovvenuto di poi) li dissi essere avvertito (Pacecco me lo haveva detto) che l’ambasciatore catolico fussi per scrivere della protesta alla corte cesarea, oltra l’ambasciatore catolico, all’imperatore ancora, forse senza avvertirlo del silentio comandato da Sua Santità, onde saria bene che ella li replicassi che nel scriver tanto al re suo, quanto a ministri significasse la pena delle censure et con essa gliene imponesse silentio, mostrandoli che, se la cosa si publicasse, si dorrebbe di lui solo et lui ne patirebbe. Questo dissi riguardar l’honore di Sua Santità et altri respetti et però doversi proveder da lei, che molto ben potria farlo stamane quando esso ambasciatore andasse all’audienza, parlandogli in questa sustanza. Li piacque la cosa et ne prese memoria per farla hiersera in ogni modo, come credo harà fatto. A Pacecco ho mostrato le copie delle due lettere, il quale giudica et confessa la del re non parerli stilo di quella corte, donde n’ha viste uscir altra volta più considerate et stipulateg ; ha ben gustato la risposta di Vostra Altezza et lodatola sommamente, come ha fatto anco Cesi, al quale per parere di lui l’ho mostrata hoggi, non potendo che //c.498r.// giovare poi che è nel negotio.
Alessandrino a questi dì passati mi disse che l’ambasciatore catolico con persona che sapeva certo doverglielo ridire havea detto che non si dovrà maravigliar se dal re non si vedrà ricevuto et honorato della maniera che li nipoti de gl’altri papi, poi che ciò avverrà perché lo stimano dappoco; non credono possa col zio, non havendo havuto parte nella promotione, et è amico del granduca. Io li domandai se vedeva dove mirasse questa girandola et, affermando di sì, disse stimar che non volesse altro che rimuoverlo dall’amicitia nostra, ma che qui saria vana ogni opera, sendovi egli resolutissimo et come creatura del papa, et come obligato particolarmente a Vostra Altezza, et che il re lo vedrà così vivo et accorto, et così efficace in demostrarli il desiderio di Sua Santità et il pregiuditio di Sua Maestà se ella non piglia assunto di componer questo negotio del titolo, che farà forse di lui altro giuditio et desperarà anco di poterlo pigliar con offerte o doni, sendo resolutissimo non volere un soldo, ma farli conoscer che ha la mira solo del servitio publico et d’obedire a Sua Santità che gli havea così commesso et dettole che trattassi con lui solo, et che //c.498v.// facesse pur conto liberamente d’essergli pari, et sta tanto alterato con questi ministri et tanto resoluto di mostrarli l’error loro, che non potrei dir più. Io in somma li dissi che del fine loro sentiva benissimo; che del dominio suo assoluto in casa nostra in vita et dopo la morte del papa poteva esser così certo, come eravamo noi del buon animo di Sua Santità et suo, de quali havevamo ogni hora tanti segni; che in Spagna tenesse pur il grado suo et si mostrasse alieno d’havere, perché così esequirebbe la mente di Sua Beatitudine et da lei, et da loro si procaccerebbe più et con più suo honore, come poteva veder di Borromeo il quale con le stranezze et disfavori fu pregato ad accettar 12 mila scudi di pensione; esser tali hoggi le conditioni della Sede apostolica con quel re et col mondo, che si possa tener la personah sua con autorità et riportarne così commodi maggiori ecc. Approvò il mio dire et le cose nostre mostrò dover [essere]i lo scopo et negotio suo principale.
Stamane hanno desinato con me Pacecco et Cesi, fra quali sendosi poi ragionato lungamente sopra quanto Vostra Altezza scrive a Pacecco, habbiamo //c.499r.// resoluto che Cesi pigli l’assunto di trattar col papa, il che egli ha accettato molto amorevolmente et con buona speranza di condurre il negotio al desiderato segno. Staremo aspettando che gli si porga buona occasione et a Vostra Altezza si darà conto della risposta che egli ne caverà. Salviati scrive in Francia et il piego sarà con questa, del quale vedrà Vostra Altezza quanto egli desideri che si segua.
Se ella conduce soldati forestieri, io le raccomando il capitano Giovan Paolo da Fermo suo antico servitore et le harò obligo che lo favorisca, se è suo ser[vitio]. Nel resto io sto benissimo, per la gratia di Dio, et con molto contento di intender il medesimo di Vostra Altezza, alla quale prego continua prosperità et con ogni affetto le baso la mano.
Di Roma li xxii di giugno 1571.
b Che interl. sup.
c Segue s barrato.
d Segue cond barrato.
e Segue che da barrato.
f Segue l barrato.
g Stipulata nel testo.
h Persona interl. sup. su dignità barrato.
i Omesso dallo scrivente.