Il cardinal Ferdinando al principe Francesco

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Roma, 25 gennaio 1572

Med. 5087, n. 11 (cc. 31r-36r).

Hiermattina hebbi audienza da Nostro Signore nella quale lo trovai tanto ben disposto che allegramente me ne stetti ragionando seco delle cose nostre un gran pezo.

Vedde con molto piacere la copia delle lettere di Spagna come quelli che haria contento che si trovasse presto quel buon sesto che si spera in questo negotio et confesso esser vero che grandissimo sospetto et gelosia havevono havuto li spagnuoli perché con Sua Santità se n’erano allargati più volte, mostrandoli tener quasi per fermo che il granduca si voltasse scopertamente a franzesi et seguisse il volere et li disegni loro. A che ella havea sempre replicato non poterlo, né volerlo credere perché molto ben sapeva che egli era resoluto di correre la medesima fortuna di lei, come era resoluta lei parimente d’esser seco per tutto, et che per ciò non poteva lui accostarsi a Francia che non vi s’accostasse lei ancora, la quale non vi haveva pensato mai, perché mai n’haveva pur visto un minimo segno in luia, sì che potevano assicurarsi di Vostra Altezza. Tornando a dirmi che questi ministri veramente non ci volevano bene et che però si faceva prudentemente cercando di guadagnarli per tutte le vie. Et qui mi domandò come Ruy Gomez fusse tanto amico loro, quanto mostravano le parole sue, et se esse credessero che largheggiasse più per timor et con mira di altro //c.31v// interesse proprio o di quello del re che per amorevoleza. A che io dissi non sapere come lo havessero guadagnato, ma che poteva esser successo forse col donarli, et mostrarli altri segni d’affettione, et che non potevano se non crederli in questo, sendo il discorso et consiglio suo prudente, et havendo altri riscontri ancora per lettere del conte Clemente della dispositione buona degl’animi di quella corte. Le piacque il modo di donare dicendo che facevano saviamente a servirsi delle facultà per possedere et haver pronte le volontà de ministri in quella corte et massimamente di lui che può assai et più di tutti con questo mezo si guidarebbe dove altri volesse.

Quel dottor Velasco disse esser heretico et mal homo, ma però approvare che si trattenga per cavarne quel commodo che si può. Loda che Vostre Altezze si offeriscano all’imperatore et le n’esorta. Et, dicendole io che già era fatto, mi domandò quali offerte particolarmente si fussero fatte a Sua Maestà, mostrando desiderio di saperle. A che io risposi non haver inteso altro se non che altre volte, ma più hora che s’erano mosse a persuaderla alla rottura col Turco, havevan offerto danari, gente, et la persona propria di Vostra Altezza di che non credevo che da lei potesse volersi più. Et Sua Santità lodò sommamente questo fatto, come lodò anco //c.32r// che Vostre Altezze fussero per instar col Re Christianissimo che entrasse in Lega, seben dubitava di lui, il quale mostrò che veramente assai sodisfarebbe al desiderio di lei, et al servitio della causa publica quando (se non volesse effettualmente concorrere) al meno non lo negasse apertamente, o confessasse il contrario.

Qui dissi io, che Vostre Altezze non lassariano mai di far ogni buon opera a benefitio publico, ma che difficilmente potevano da se stesse dove massime chi doveva aiutarle le faceva disturbo et danno, come avveniva in quella corte di Francia, dove il nuntio suo con mostrar che qua non si doveva esser dato del buono per la dispensa poiché non s’era ottenuta, et tenendo in speranza la regina con dir che Sua Santità (contra quel che haveva detto a me) non fusse aliena dal concederla al meno in qualche modo dopo il fatto, haveva fatto sì che la si teneva mal sodisfatta di Vostre Altezze, le quali andavano pensando che Sua Beatitudine a qualche fine havesse dato questo ordine a quel nuntio et però cercavano di remediar il meglio che si poteva a questo disordine senza toccar la mente di Sua Santità. Ella rispose non esser per concederla mai, né mai haver commesso che si dessero parole di speranza et che, se di ciò si chiarisse, castigarebbe quel nuntio. Ma che s’avvertisse che //c.32v// quella regina diceva spesso qualche bugia per suoi interessi et fini. A che io replicai non negar ciò della regina perché non sapevo la natura sua, ma che in questo facilmente le credevo sapendo che il nuntio l’haveva detto con altri, et non lassava di far per sé stesso et giuntamente con altri ogni malo offitio a disservitio nostro. Disse di nuovo che, se si chiariva, ne mostrarebbe segno. Talché sarà ben ordinare che a Alessandrino sia fatto vedere il vero di queste cose. D’una in altra cosa poi passando, mi domandò s’io sapessi con qual resolutione se ne tornasse il duca di Ferrara. Dissi che di costà non n’havevo avviso, ma ben haver inteso dall’ambasciatore cesareo che egli come duca di Modona et Reggio haveva fatto citar gl’ambasciatori di Vostra Altezza et in questo nome cominciaria nuova lite, la quale per noi riescirebbe forse leggiera, ma mi parea bene di ricordarle, come cardinale, che di preiuditio era alla Sede apostolica il tolerarlo per le cagioni che le sono note, et pur affermavano i suoi di farlo con licenza di lei. La quale rispose che non la potranb già mai mostrare et che l’imperatore, di cui con molte parole si mostrò molto mal sodisfatta, trattava in modo ogni cosa da cavar pochi servitii da lei; et che quel duca ancor esso //c.33r// è un malhomo, et faceva di maniera che ella gli mostraria l’error suo. Ma quest’ultime parole disse più col scuoter la testa et fra’ denti che apertamente.

Questo è in sustanza quel ch’io passai intorno a quelle copie, havendoc solo in voce referito la di Francia sì per minor tedio di Sua Santità, sì per non ristringermi i termini da estendermi intorno alla malignità di quel nuntio et per potergliene, come feci, dar una buona mano. Et, servendomi del dubio che ella haveva mostrato nel parlar di Ruy Gomez, dissi che queste speranze date da lui non concludevano però che non si dovesse pensar al remedio in evento che pur si trovasse nuova dureza per qualsivoglia accidente, et s’havesse a trattar con nuovo papa di volontà contraria. Però che Sua Altezza per assicurarsi di non lassar imbarazo, desiderava quel breve di che io le parlai altra volta, che comandasse etc. Ricordò che haveva commesso che io ordinassi al Camaiano di parlargliene et io gli replicai che egli di già per quell’ordine haveva pensato a non so che forma, la quale voleva mostrar prima a lei che ad altri, acciò che ella potesse sodisfarvisi et restai di mandarvelo, et andarà quanto prima,d non aspettando egli altro che il successo di questo offitio giudato a suo modo et caduto //c.33v// apunto come egli voleva. Parlai del cardinale de Monte, come Vostra Altezza m’haveva ordinato, parendomi buona occasione, ma presto veddi che Sua Santità non voleva liberarlo (se ben non n’ha mal odore) dicendo ella non credere che fusse così ben reformato et confirmato da non cader di nuovo come prima et darle occasione di venir alla privatione, o altro castigo più dannoso a lui et di maggior noia a lei, et mi domandò se io prometterei che egli viverebbe bene, ma lo disse in modo che io risposi che così a pena le prometterei per me stesso, se ben credevo di lui che egli fusse macerato et non sarebbe per far grandi scappate. Ella ridendo si voltò a dirmi che un goffo cardinale pregando per lui le mostrava non esser bene tener un cardinale vicino a paese d’heretici per evitar ogni scandolo, et che ella haveva replicato che se Borromeo viveva fra li heretici nettamente ben poteva Monte star in quel luogo, donde era resoluta non levarlo ancora a modo nessuno. Terminai il ragionamento con pregarla che, poiché lo negava a noi, non lo concedesse a altri, ma che, quando fusse resoluta della liberatione, fusse servita anco di farcene qualche grado et mi promesse di tenerne memoria. A questi //c.34r// suoi che instano qua, senza entrar in altro, ho risposto d’haver fatto l’offitio con ogni efficacia et che, se ben ho trovato Sua Santità sodisfatta de suoi progressi, non ho però potuto indurla a credere che egli habbia l’habito buono confirmato, come ella desidera, et che per ciò non si vuol risolver ancora.

Al cardinale Santa Croce par mill’anni che il corso stia bene per poterne cavare quelle notitie che desidera a quiete della casa sua, havendo egli sfregiato un suo nipote (che a pena lo conosceva) né mai gliene dette cagione, il quale ha hora certe male fantasie da precipitar sé et altri a resolutioni troppo dannose, se non si chiarisce per mezo di costui. Il quale, havendo poi pensato che costà non potria sodisfar al desiderio suo per li confronti che bisognaranno fare, supplica Vostra Altezza che gliene mandi fino a Perugia, donde egli lo farà poi condurre qua. La cosa veramente importa allo stato et quiete di casa sua et egli per ciò tanto lo desidera che il compiacerlo sarà un legarlo di perpetuo obligo. Però torno a pregarne Vostra Altezza io ancora.

Il duca di Savoia, per mezo del suo ambasciatore et in credenza d’una sua lettera, mi prega //c.34v// a far intendere a Vostra Altezza che ha compreso il desiderio suo della sententia fra lei et Ferrara et che la fa ponere in ordine per mandarla.

Il granduca fece già gratia al vescovo del Milanese che la cognata potesse disponere della dote sua a benefitio de figliuoli et perché ella si è morta senza dichiarar l’animo suo et par che per ciò possa revocarsi in dubio se la gratia detta habbia luogo, desideraria esso vescovo che Vostra Altezza restasse servita di supplire con la benignità sua, sìe che la intentione gratiosa di Vostra Altezza non resti vota d’effetto per l’inadvertenza di quella donna, la quale non è da credere che habbia così voluto nuocere a’ figliuoli ma sia stata impedita dai pensieri fastidiosi in che è restata dopo l’escesso del marito. Il vescovo è molto da bene et servitore di Vostra Altezza et il commodo va confermato a’ vassalli suoi, che da lei lo riconosceranno col resto insieme, a che furono reintegrati et rehabilitati per la sudetta gratia. Ond’io efficacemente la ne supplico per loro et le n’harò obligatione.

Intendo che il signor Mario Sforza sia partito dai servitii di Vostra Altezza et qua intorno si trattiene il signor Adriano Baglioni il quale, se ben pratica di condursi con i venetiani, so però che più volentieri verrebbe a Firenze. Se Vostra Altezza giudica che egli fusse buono per suo servitio, saria bene lassarsene intender presto. Et io, se //c.35r// saprò fin dove ella fusse per estendersi con provisione (o altra dichiaratione), crederò d’esser atto a condurre il negotio con sua riputatione et sodisfattione, se ben spagnoli ancora ci habbino posto la mira. Però volendovi attendere, mi dichiari l’animo suo et comandi.

Il maestro di camera di Nostro Signore m’ha detto, in proposito di più lungo ragionamento, d’haver visto una lettera scritta in Spagnaf da un signore di portata, il quale persuade con essag al re di favorir et sostener Farnese per haver un emulo in Italia alla potenza di Vostra Altezza, per il quale effetto non ci è meglio, valendo il cardinale assai in Roma et il duca et principe con il Stato e con la persona et sendo più congiunti seco da promettersene sincero servitio. Chi fusse lo scrittore non fu luogo allhora di cavarlo da lui, ma gli metterò sotto Pacecco o Cesi con i quali si allargarà. Che è quanto m’occorre per hora, partendo il corriere prima che siano comparse lettere di Vostra Altezza, et con questo fine le baso la mano.

Di Roma li 25 di gennaro 1572.

[Post scritto] Lassavo di dirle che, lassando io di leggere nella copia quella parte ultima perché non me ne veniva dato ordine alcuno, mi domandò //c.35v//h Sua Santità che cosa contenesse. Io risposi che parla d’un Paolo Pla, del quale Ruy Gomez desiderava saper quel che seguisse, ma che io non havevo notitia di lui, né mi veniva ordinato che io ne parlassi, et però passavo quella parte. Rispose subito il parlare con dir che èi un grande scelerato, monacaio, et mostrò malissima volontà contra di lui, dicendo che i ministri fanno gran dishonore ai patroni aiutando simili infami et passò a parole molto acerbe contra lui nominatamente et contra Ruy Gomez sotto questa generalità.

Scritto sin qui è comparso il piego di Vostra Altezza alla quale poco m’occorre dire in risposta, se non che al marchese Morello et a Cesi farò intendere quel che tocca a loro; che d’Arduino la ringratio; et che con l’ambasciatore trattarò delle cose de forzati secondo l’ordine suo, et al Cino farò ogni favore ch’io possa; et quel dal Borgo lassarò gridar et romper la testa a Sua Santità come farà et sarà udito, poi che non esce punto dello stile ordinario nelle cose beneficiali. Al granduca risponderò con altra, non v’essendo tempo di poter dir hora cosa resoluta, et in quel che mi ordina sopra quel Paolo Pla, aspettarò che mi dia nuova commessione quando harà inteso quel che ho detto di sopra esser passato concidentemente con Sua Santità la quale veddi io malissimo disposta nel fatto suo, del quale io non ho altra notitia. Del breve concesso a Ferrara, io non ho havuto mai altro, se non che gli fusse negato liberamente et non credo che l’ottenesse, havendo anco diversamente sonato sempre le parole del papa, ma io me ne chiarirò. Della licenza d’agitare come duca di Modona e Reggio, dico di sopra et hora soggiungo che fu chiesta dall’ambasciatore cesareo et a lui datal, ma solo in voce, et anco in un certo modo per levarselo dinanzi. Ma si farà opera che Sua Santità pensi hora meglio a tolerar questo pregiudizio et si domandarà il suo consiglio nel viluppo che i ferraresi vorriano far delle ragioni vecchie nella causa nuova, come Sua Altezza desidera, alle quale risponderò con le prime pienamente.

a In lui; aggiunto un interlinea superiore.
b Potran lettura incerta: sembrerebbe così, su correzione di potria sottostante; potrebbe però anche essere viceversa.
c Havenho precedeva non, che risulta poi cassato.
d Et ... prima aggiunto in interlinea superiore.
eaggiunto in interlinea superiore.
f Spagna in interlinea superiore, sopra il cassato Francia.
g Con essa aggiunto in margine sinistro.
h Cambio pagina segnalato in margine inferiore da voltisi.
i È aggiunto in interlinea superiore.
l Et a lui data; aggiunto in interlinea superiore, dopo aver espunto et data precedentemente scritto dopo chiesta.