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Roma, 6 gennaio 1570
Med. 5085, [già num. 91], cc. 174r-175v; c. 179r.
La lettera che Vostra Altezza mi scrive del primo tutta è responsiva et per ciò poco richiede oltra l’avviso della ricevuta, sendo superfluo ch’io, il quale da lei ho quel che sono, dello amore che tuttavia mi mostra m’estenda in ringratiarla con altro che con accettar et poner a effetto li ricordi et consigli suoi prudentissimi. Con Monsignor mio Illustrissimo Alessandrino mi porto io di maniera che et esso con dolcissima corrispondenza si mostra sodisfattissimo, et i maligni hanno cagione di vedere con livido occhio la nostra conversatione, la quale non può essere più domestica et congiunta, facendo egli segni manifesti d’havere veramente dato, come dice, sé et li fratelli nella protettione di Vostra Altezza, né volere mai pigliar altra deliberatione di quella che piaccia a lei, la cui venuta desidera infinitamente et non solo me la ricorda et me ne domanda ogn’hora, ma mi prega a farlene instanza, mostrando in generalea d’havere in questo abboccamento speranze et disegni non poco rilevanti al servitio suo et nostro, che egli chiama uno istesso. Però, aggiugnendosi questo al desiderio che n’ha Sua Santità non punto minore, ardisco di supplicar Vostra Altezza a non levare il pensiero da cosa che sia per //c.174v.// partorir sodisfattione da tante bande et rinfrescarmene, se così le parerà a proposito, qualche cenno per consolatione di tutti.
A Sua Beatitudine ho poi letto quell’ultimo capo dell’instruttione di Vostra Altezza, soggiugnendole in voce, con testimonio conforme al suo, che altro interesse non la moveva a quel proposito che del molto zelo che ha sempre avuto della quiete d’Italia et del felice stato di questa Santa sede, come le può persuadere il procedere suo passato volto sempre a questo scopo et all’obedienza et ossequio verso tutti li suoi precessori et gl’oblighi freschi che tiene con Sua Santità particolarmente. Ella mi udì attentamente et si compiacque poi anco di estendersi et aprirsi molto liberamente in risposta, mostrando, in sostanza, dell’animo di Vostra Altezza essere così certa cheb nessuno habbia per più sincero, né di cui più che di lei confidasse et si promettesse in tutte le occasioni. Che le male sodisfattioni col Re Cattolico sapeva essere cagionate dalla mala qualità de ministri di lui maligni, fomentatori di scandoli, non dalla mente di Sua Maestà, se non quanto si fusse lassata aggirare dalle artic //c.175r.// et impertinenze loro non ostante qualunche ricordo. Et in questa opinione confermarla l’ordine nuovamente dato sopra il tumulto di quelli canonici della Scala contro Borromeo, nel quale havea mostrato di tornare a honesto segno di buona intelligenza con questa Sede con molta sodisfattione di lei. La quale (se così si continuasse) nessuna cosa faria più volentieri che abbracciar anco più strettamente quel re di paterno amore et essere seco di unita volontà quanto si potesse senza detrimento di questa Santa sede, per la cui esistimatione era disposta di sopportare et disprezare prima ogni cosa che una minima diminutione. In somma è addolcita assai et per questa provisione di Milano, et per l’accoglienza fatta da Sua Maestà al generale della Minervad nella prima audienza, se ben non s’era venuto per ancora ai negotii, secondo che la mi disse haver per l’ultimo avviso. Et io che sei mesi fa hebbi più volte a vederla tanto acerbamente sdegnata contra quel re, vedendola hora cominciar a parlarne così placidamente, spero che Vostra Altezza la tirarà nell’opinione et volontà sua, se da quella banda si attenderà a volerla guadagnar con maniera diversa dalla passata //c.175v.// et non sopravverranno nuove occasioni che li mostrino l’usato contempto della sua autorità, che è quel che le preme sopra ogni cosa. Questa è la somma di quel che la mi disse con lungo ragionamento et che m’è occorso per ragguaglio di Vostra Altezza, non lassando però che Sua Santità replicò con interpositione di poche parole ben due volte grandemente meravigliarsi de principi che tanto si lassassino maneggiar da ministri et servitori loro, quanto fa quel re.
Feci offitio con Sua Santità per il signor Paolo nostro la quale mi rispose molte cose ine biasimo della vita et attioni sue, a che io risposi escusandolo con quella modestia che conveniva. Et la conclusione fu che in gratia di Vostra Altezza concederia maggior cosa et che per sua cagione et mia si contentava ch’io lo facessi venire. Lo chiamai subito et avanti hieri arrivò, né prima che hoggi per le occupationi publiche si è possuto condurlo ai piedi di Sua Santità, la quale con severo volto, ma con parole benigne lo accolse et, ricordandoli che quel che havesse fatto troppo licentiosamente in Firenze appariva nei processi et che a lei così ben come a lui erano noti altri simili errori fatti qui in Roma, lo ammonì a non più cadere così gravemente, perché ogni leggier peccato da leif //c.179r.// saria stimato grave et pigliarebbe sicurtà un’altra volta di negar il perdono, che per lui haveva hora concesso a Vostra Altezza et ne faria conveniente dimostrazione, soggiugnendoli che havrebbe piacere che egli si intrattenesse poco in Roma. Il che fu per opera fatta da me per commodo di lui, il quale havevo inteso disegnare già d’aprir casa et tornar alla sua prodigalità. Che è il fine col quale a Vostra Altezza baso la mano et le prego molti et felici anni.
Di Roma li vi di gennaro 1570.
a Seguono due lettere espunte.
b Segue che ripetuto.
c Segue loro barrato.
d Della Minerva ms. interl. sup.su parola barrata.
e Segue del barrato.
f Segue da lei ripetuto (c. 179r.).