Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, a Firenze

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Roma, 24 luglio 1586

Med. 5092, n° 139 (cc. 368r-374r), firma autografa

//c. 368r//
 
Pareva impossibile che di tanti ch’in alcuna cosa servono il papa, io solo havessi da saltare netto la fossa de disgusti procedenti dalla sua natura.
Sino sotto xxviij di maggio 1585 Sua Santità ardentissima come nell’altre cose di condurre certa acqua, che potesse cavare la sete alla sua vigna, m’astrinse a pigliare la cura dell’impresa, mostrando credere, per li ragionamenti passatine fra noi in minoribus, che senza me non potesse farsi; et con tutta la sua fretta, stimò bisognarvi due anni, come Vostra Altezza vedrà dalla copia del breve, che le mando. Dettemi l’architetto principale con facultà di deputare ministri etc. Non potette cominciarsi fin alle prime acque, et in pochi mesi, per la caccia che ne dava, et così la pronteza de denari, si fece quel che pareva impossibile; et ella sul luogo più volte, et assente, et presente me, così mostrò, che le paresse, et se ne sodisfece, et gliene crebbe tanto desiderio, ch’ogn’hora cominciò a parerle un anno, et dimenticatosi di termine dato, cominciò per le parole di questo, et di quello a saltarle dubio, che l’acqua non fusse per venire, perché già non veniva, et la spesa, che già predetta le pareva poca, a parerle molta, sì che ogn’uno bastava a muovere in lei segni di fantasticheria, la quale sentendo io, che le faceva parlare talhora sconciamente se bene non espressamente di me //c. 368v// deliberai pochi dì sono non me li girare molto intorno, finch’il condotto non fusse finito, del quale già vi restavano poche canne, per non dare occasione a qualche scappata. Intanto si finì il condotto, et io lo feci rivedere molto bene, et provarlo con l’acqua istessa, et appresso di chi intende non vi resta dubio, che sia benissimo livellata, et che benissimo verrà. Solo vi s’è trovato l’impedimento veduto prima di pozolana per spatio di dua miglia in circa, che assorbe grand’acqua, et la tiene indietro, a che s’era disegnato il remedio usato dalli antichi, sicuro, et durabile, d’incollare con buona calce quello spatio tutto. Il che visto da suoi proprii architetti, desiderosi di riportare il premio dell’altrui fatiche, pare  che pur l’havessero sollevato l’animo et messoli in testa, che la spesa era grossa, et il lavoro non compariva, anzi che pochi homini vi lavorassino, et ch’al  suddetto spatio bisognaria fare un muro, et altre girandole, che porta l’invidia, et l’avaritia delli artefici, dalle parole de quali, commossa finalmente proroppe post pocula  a dolersi d’essere ingannata, et rubata, et stare in dubio d’havere l’acqua, almeno se non molto più tardi, et con maggior spesa, che non gl’era promessa, et qui toccò me che havessi havuto mali ministri, ma passò però veramente più secondo la sua natura, che con carico mio, ma però ordinò a un suo maestro Giovanni [1] //c. 369r// (il quale con Latino Orsino, et altri havea visto il condotto) che mi dicesse, che a lui haveva dato la cura del condotto, et che però da hora innanzi non se n’ingerisse più mastro Matteo [2], perché farebbe egli etc. et fu questa imbasciata senza altra dichiaratione, dopo la quale fui avvisato, o vero o falso che fusse, che si cercava di mettere prigione Donato dell’Antella et altri ministri di questo negotio. Questo fu domenica li xviiij nel qual punto io mandai a domandare audienza per la domenica la quale poi mi fu passata a stamane. Nella quale di quel ch’io dissi a Sua Santità la somma è questa. Che già molti giorni intendendo quel che  la sentiva in questo negotio, et che andava sbottoneggiando, d’ingannamenti rubamenti et spese, io havevo disegnato d’andar a pregar Sua Santità che già ch’il livello della acqua si conosceva bene fatto, ella facesse vedere li conti, et misurar l’opera da suoi, per chiarir se, et me insieme se, come mi constatava, la misura de miei era pur fatta giusta, et con ogni vantaggio, et la spesa utilissima o pur v’erano tante fraude, et per levarmi di sotto a tante novelle non punto convenienti alla conditione mia, ma ch’il mio catarro mi haveva ritenuto, onde Sua Santità m’haveva prevenuto con la gratia che volevo domandarle. Sua Santità interrompendo disse, che gl’havevano detto, ch’era rubata, che con molto danaro ordinario lavoravano pochi homini, et altre //c. 369v// poche parole di più, alle quali io replicai, che potendo, et dovendo meglio giudicarsi questo dal conto chiaro, che ve n’è, che dalle relationi di chi non n’hanno trattato, et possono havere diversi fini, saria parso conveniente volere sentire li ministri prima che con tal ferma opinione procedere, et a parlar, et a fare come s’era fatto con affronto mio, et con manco respetto, che non si debbe alla mia persona. Ricordandoli, che astretto da lei havevo preso questa cura; che per la facultà del breve havevo posto ministri, et per non havere a cimentarmi con altri non conosciuti havevo presi de miei, provati da me, et trovati fideli, in somma maggiore che questa, et per molti anni, dicendole come realmente passasse il maneggio, et come il danaro non si toccasse da loro, et che non quelli di questa sorte, né il mio architetto, che (come è veramente) ha fatto più di tutti insieme, et più dell’istesso Matteo, non costano a Sua Santità un solo scudo, se bene speravano qualche premio. mostrò stimare conveniente, che si vedessero i conti. Et io seguitando quel che havevo resoluto dirli, soggiunsi, che sendo venuto quivi, per lassare quivi etiam la memoria d’ogni disgusto, et restarli servitore come volevo essere in ogni modo, et non havere cagione di fare come gl’altri disgustati, che fuor di lei in escusatione propria o per altra sodisfattione la laceravano, la supplicavo di darmia//c. 371r// licenza di parlarli liberamente me la concesse. Et io li domandai se mai da che ci conoscemmo in minoribus o nel pontificato haveva havuto  disgusto o disservitio alcuno da me, rispose, che mai, anzi servitio sempre per qual cagione dunque, dissi, tratta hora meco, affrontandomi di questa maniera, sparlando di questo maneggio in generale, et della persona mia in particolare a tavola, et dove le vien bene, levando ministri, ordinando che siano presi li miei, ch’altro pagamento aspettavano della fatica et fede loro, et questo tutto senza parlare con me, che, havendoveli posti, ero anco per darli prigioni, et punirli se havessero errato, ma lo facesse, a semplice relatione di chi vuol rubarli l’honore, et la speranza di qualche recognitione, se bene questo dello interesse importa manco. Et solo per fretta et impatienta di Sua Santità la quale non ricordevole forse del tempo dato di duoi anni a questa impresa, ma quasi, che gli si fusse promessa in sei mesi, già tanti mesi cominciò a dolersi di non vedere quest’acqua, come hora si doleva della spesa, quasi ch’escedessi quel che già le pareva poco, et che fusse per riuscire molto maggiore soggiugnendo, che non bene stimaria la mia persona, chi pensasse ch’io dovesse stare saldo a questo, et mi ponesse nel numero di quelli et cardinali che soffrissero quel che si vuol fare con me intimandomi //c. 371v// certe mutationi con li maestri Giovanni o gente simile, et non in voce trattandone meco sendo io presente. Sua Santità a questo parlare, il quale però fu con termine di tutta la modestia conveniente, non send’io andato per rompere, tutta rintuzata, et ripentita, si voltò a dire che non haveva né anco con l’intentione straparlato di me, né mai imputato altro che ministri replicando, che gl’era detto, ch’era ingannata, et che questo non toccava a me, in modo alcuno ma a mastro Matteo, che promettendo, et dicendo molte cose, haveva fatto ogn’errore, et era causa d’ogni cosa, et io le replicai domandando se si ricordava che mastro Matteo era architetto datomi da lei, et con carico solo di convenire seco del suo premio, et ella disse, come anco haveva detto del tempo suddetto, non ricordarsene, et non volse vedere il breve, ch’io havevo con me, et gl’offerivo, et dicendoli, che se mastro Matteo ministro suo havesse errato, non era conveniente affrontare me, et mettermi in canzona per la corte, con tante novelle, che si son dette, tutte causate dalle parole sue, et che per me poco era, che l’havesse dette, o no, poiché l’opinione era pur tale, et altro che opinione non è l’honore, il quale voglio per me come conviene, et non strapazato da alcuno massime senza causa, o per colpa d’altri, et ch’io d’hora innanzi //c. 372r// non m’impaccerei più di quest’opera, né ci lassarei miei ministri, contentandomi, che questi suoi valent’homini, hora che l’è finita godendo dell’industria, et stenti d’altri in quel che non hariano saputo fare, siano hora quelli, che non in duoi anni, ma in xv giorni che soli ci restano a incollare quella parte, habbino condotto l’acqua nel condotto murato. Voltossi non più a negare di non havere detto qualche cosa, ma accusarne la sua collera, et me ne chiese perdono, mostrando, che mi amava, mi stimava, et mi era obligato, et io le dissi che se questa colera potesse essere con più risguardo  d’altri saria talvolta con più servitio suo, et ch’io contra l’honor mio non potevo negare che la vedrei mal volentieri. Negò d’haver ordinato, che si mettessero ministri prigioni, et io li dissi, che molti segni n’havevo visto di birri intorno a casa, et altre girandole, et che così forse si diceva hora per non haverli havuti, et ch’io sendoci li libri chiari et sendo commune la maraviglia per la brevità et poca spesa dell’opera, mi moverebbe l’esempio del Butio [3], et altri, a non consigliarli mai d’andare prigioni, dove li suoi ministri trattano come si vede. Rispose di nuovo non havere dato tal ordine, né volere che vadino prigioni, ma contentarsi bene  che si vedano //c. 372v// li conti, et deputare più persone, come io la pregavo, per questo, et recusò la sicurtà, che io gl’offerivo di buon conto loro, dicendo bastarli la parola, et mi prego strettamente ch’io non levassi la mano dall’opera, ma continuassi di comandare a questi nuovi ministri, mostrando di voler fare un muro, per lo spatio di quella pozolana, et quanto più mi stringeva, et con migliori parole, tanto me ne mostravo, come ero veramente più alieno, ma finalmente fui forzato a dire, che finché si cavasse fuora l’acqua farei quanto la comandava, ma non già se ella volesse fare il muro perché questo era una spesa di 30 mila scudi non necessaria et propostole solo da questi reprensori dell’opere d’altri, che o non sanno, che l’incollare basta o vogliono rubarla grossamente con tal occasione, et forse fare qualch’altra porcheria, nella quale io non volevo participare in modo alcuno. Risolvessi di fare incollare, che si spedirà in xv giorni, et io dopo questi tornarò alla renuntia dell’impresa, perché voglio servir il papa alla larga, ma non trattare maneggi suoi così fatti, bastandomi di saldar questo con honor mio, et con mostrarle ch’io sono, et  haverla ridotta in modo, che sia per stimarmi anco più per l’avvenire, perché in lei ho visto pentimento grande, et non poteva satiarsi di //c. 373r// quietarmi. Ha mandato poi subito gl’homini suoi da me, et io conforme alla sua instanza, gl’ho dato l’architetto mio, che gli instruisca, et farò venire Donato [4], che sendo a punto fuor su queste girandole, se ne restò su questo avviso, ma non si verrà fuor a conti se prima non mi confermi Sua Santità la parola di non ristringerlo senza necessità, a discretione di questi suoi, tanto vaghi del sangue altrui o per avaritia, o per ambitione, che non potendo haverlo con la colpa, che pretendono, lo cercano iniquamente con altre cause. So che Vostra Altezza harà inteso qualche parte delle ciancie intorno a questo, o forse più del vero, et però ho stimato mio debito di farle sapere il tutto, come conviene che sappia ogni cosa mia, massime di questa sorte, non havendolo fatto prima perché non harei mai creduto progresso di tanta impertinenza.
Di Mantova non parlai, perché non era cosa, che non potesse riserbarsi ad altra audienza, né anco d’altro, perché volsi che Sua Santità vedesse che ero solo per sfogarmi di questo, in che mi sodisfeci sì pienamente che non me ne  resta più un pensiero al mondo, et pur veddi, come ho detto, di restare meglio che prima. Con che a Vostra Altezza bacio la mano.
Di Roma li xxij di luglio M.D.LXXXVJ.
 
b
//c. 373v// Tenuta alli xxiiij per falta d’occasione et continuando l’historia dico, che Sua Santità ha mandato San Galletto [5] con segni di martello, a farmi fede, del dispiacere, che ha del mio disgusto, et che mai hebbe questa mira, se bene le tante novelle, et d’autori non vili l’hanno commossa, soggiugnendo che sa quanto mi debbe, et che posso ancora io da molte cose havere visto quanto lo conosce. In che dice non haver pareggiata la sua volontà, ma volere fare et dire etc.,  >…<c Volere, che li conti si vedino civilmente né si tratti di prigione, voler che si veda, et si misuri conforme alla mia richiesta, et che non si faccia se non quel che voglio. Ho risposto, che della volontà la ringratio; di disgusti lassai la memoria a suoi piedi, la mia resolutione gli dissi qual era, et de conti harò caro, che si tratti quanto prima et che in tanto si misuri per haverne riscontro migliore.
Dissemi poi Rusticuccio [6] essersi precipitata Sua Santità per una poliza d’un cardinale il quale toccando le partite particolari, mostrava rubamento di ducati 60 mila. Il nome non volse dirmi, ma sì bene, che fra quattro di potrò havere la poliza, et forse saperlo, il che procurarò con ogni studio, o ch’almeno gli si faccino dire li autori delli avvisi (poiché quel cardinale da se stessod //c. 374r// non può havere visto le cose) per farli chiamare a chiarire, o a essere puniti della calunnia. La cosa è inverisimile, perché il condotto murato è cinque miglia, et il sutterraneo xv et la spesa tutta 128 mila fin’hora, sì che veda Vostra Altezza se ci può esser fraude di 60 mila pur vedremo. Intanto li suoi andati hieri co’l mio architetto tornano sodisfattissimi et resoluti, che non si debba se non seguire l’ordine cominciato, né si possa fare meglio et l’acqua lassata andare, roppe un riparo del condotto, et passò la pozolana già inzuppata, et era per venirsene fuora forse con qualche disordine della parte murata, se non la levavano, sì che bene s’ha la chiareza del venire, et della forza sua. Proponevasi di mescolarvene un’altra detta la Marana che è qua più vicina, ma non ho volsuto, dicendoli, che potranno farlo poi, quando sarà a cura loro, poiché hora non bisogna etc.


1. Giovanni Fontana, fratello del più noto architetto Domenico.
2. Matteo Bartolani da Città di Castello, che dirigeva i lavori per le condutture
3. Diversi membri della famiglia Buzzi (scultori lombardi) erano a Roma nell’ultimo quarto del Cinquecento.
4. Donato Dell’Antella, vide supra.
6. Cfr. la lettera n° 44, nota 31.
a Le due ultime parole sono, essendo la lettera molto lunga e le pagine non numerate, ripetute all’inizio della pagina seguente; la c. 370 appartiene alla n. 138/2.
b Voltar. Prosegue la lettera per tutta la c.373v, alla fine del foglio pone la firma, ma il testo lo continua fino a c. 374r.
c Segue un cancellato.
d Alla fine di questo foglio c’è la firma.