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Roma, 13 febbraio 1587
Med. 5092, n° 184 (c. 474rv), firma autografa
//c. 474r//
Poiché si scoperse a che camino si va con Ferrante Rossi, se ne sta il cardinale di Pavia [1] più quieto, per il quale quel che si sia fatto di più per servirne a Sua Santità l’harà visto Vostra Altezza con le mie. Di Bettino [2] scrissi quelle due parole per quel che Vostra Altezza m’haveva scritto di lui, che pareva pretendesse trattare cosa commune a lei.
Quel che scrissi havere detto il papa circa li banditi, l’habbia Vostra Altezza per certo, ma dell’opinione diversa di Sua Santità io me ne riferisco a quel che dice Vostra Altezza perché non ho sentito poi altro, né so se quel risentimento fusse forse su primi avvisi, et debbo credere, che la sia sodisfatta di Vostra Altezza perché a me ancora lo mostra sempre. Finalmente vennero lettere dell’Imperatore [3] per Nostro Signore, et furno doppie, una cioè de’ 20 di gennaro data prima che havesse alcuno avviso di qua, con la quale pregava Sua Santità ad abbracciare la protettione di quella casa, accioché il regno di Polonia venisse in uno de fratelli [4]. L’altra de’ 29 del medesimo, con la quale mostrando d’havere inteso da Madruccio [5] et da me l’inclinatione di Sua Beatitudine, la ringratia et prega del medesimo senza distintione d’alcuno di loro, contentandosi che si tratti di quello, che piacerà più a Polacchi. Si fecero dare subito le lettere, accioché Sua Santità potesse fermare Radivil [6], che doveva partire la mattina seguente, se con lui volesse fare offitio alcuno. Ma si trovò che Sua Santità haveva il dì precedente parlato con esso a favore d’Ernesto [7], per il che non volse altrimenti fare offitio nuovo nella forma ricercata, ma starsene sul fatto, come Vostra Altezza intenderà dal cardinale predetto che di qua parte domattina et gliene darà conto nel passare. Che è quanto mi accade, et le bacio la mano.
Di Roma li xiij di febraro M.D.LXXXVII.
poscritta Ho visto li figlioli del cavaliere Concino [8], et parendomi che portino segni d’espettatione et di buone maniere, //c. 474v// et come gl’ho offerto, così mi trovaranno dispostissimo a giovarli in tutti li modi che io possi.
Dal vescovo d’Alessandria [9] non ho avviso ancora, et aspetto sue lettere con desiderio per sentire come sia la volontà di Vostra Altezza che io la serva conforme a quel che saria sempre la mira mia. Etc.
Quello che mi scrisse l’altro giorno il capitolo di Venezia che mandai a Vostra Altezza, fu il vescovo di Ceneda [10], il cui nome lassai così nella penna, perché in ogni modo non importava allhora, et egli mi pregava d’intera secreteza. Hor egli mi scrive l’inclusa, la quale ho voluto mandarle, come harei fatto in ogni modo, già che con Vostra Altezza passa egli tanta confidenza, per sodisfare più che io possa pienamente al desiderio suo. Pensarà hora lei alla persona, et al modo di mandare, sendo bene per ogni respetto che tutto suo sia che ha da fare questo servitio non comandi lei altrimenti, et di quella sorte che richiede la conservatione di questo prelato, il quale forse con l’esempio del Battaglino [11] vuol accennare il caso del Soranzo [12], ma questo lo raccolgo più dal proposito, che dalla cosa, nella quale non so che habbia da fare Battaglino.