Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, a Firenze

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Roma, 31 agosto 1587

Med. 5092, n° 218 (cc. 545r-547r), firma autografa

//c. 545r//

Io dissi già che la signora Camilla [1] designava di trattare co’l papa sopra il parentado, ma perché ella è vecchia et fredda per ordinario, et questa malatia l’ha indebolita maggiormente, parse meglio che la facesse fare questo offitio dal cardinale Aldobrandino [2], il quale preso l’assunto, et trovata, per suo parere, buona congiuntura, referisce d’haverli parlato in questo tenore: Padre Santo la Signora Camilla ha voluto che io dica a Vostra Santità per sua parte, che si trova contentissima della fortuna che Dio le ha dato in questa sua vecchieza, né desideraria più oltre, se vedesse accomodate queste nipoti, le quali per ciò (et la maggiore particolarmente) raccomanda alla Santità Vostra, pregandola d’haverne pensiero, et considerare che, già habile al suo ricapito, va tuttavia crescendo, che è il maggior travaglio di lei, la quale vedendosi già decrepita, et spesso toccata da malatie, che può credere che siano la voce, che la chiami, morria malissimo contenta, se vedesse restare questa figliola senza marito alla sua morte, per il qual respetto di sua consolatione, et per assicurarsi di non lassare a Vostra Santità questo peso, che le saria troppo noioso et grave, supplica la Santità Vostra di pigliarne resolutione. Fra li partiti de quali si è ragionato, dice che a lei nessuno pare migliore che questo del signor Virginio Orsino [3] sì per la conditione della famiglia et dello Stato, et riccheza sua qua vicina, sì perché il Granduca stimandolo come figliolo, si farà appoggio più sicuro con tale interesse a questi nipoti, che presupongono d’haversi a fermare qua, et dovere restare appoggiati a questa casa. Etc.
Il papa rispose così lentamente, ma però con lieto volto: La Camilla pensa bene, ma a noi pare troppo presto, et che siano troppo giovani, sì che mettendosi hora insieme si rovinariano //c. 545v// perché dice Aristotele, che le donne congiungendosi così tenere si vengano a diseccare, et si fanno più salaci in danno della vita loro, et de mariti. Del partito ci pare che la dica bene, et ci piace, ma infatti ci pare presto, et poi che direbbe il mondo? Aldobrandino replicò Padre Santo a questo s’ha da venire una volta, et come ogn’un lo vede, et aspetta, così nessuno si meravigliarà del fatto, et meglio è che Vostra Santità lo faccia lei, et presto, poiché così facendosi con più reputatione, sarà di più vantaggio alla figliola [4], la quale è già habile, et al danno che la Santità Vostra teme della salute loro ci sono molti remedii, potendosi fermare le cose, come hanno da stare, et poi tenerli separati per il tempo che paresse a lei. Il papa non mostrando dissentire, replicò ci piace et come seguitando la mossa della testa soggiunse, ma non però diciamo d’essere resoluti, poiché habbiamo certo disegno in testa, al quale ci conviene complire prima che venire a questo, et così cercò di terminare il ragionamento, passato però fra di loro prima più estesamente per molti termini, ma in sustanza simile. Hor qui si notano tre cose che l’una è quel ci piace, ma non siamo già resoluti etc.; l’altra vogliamo prima compire certo nostro disegno etc., la terza che direbbe il mondo, lo qual parendomi che mostrino la mira suo solo a se stesso senza curare di Virginio, o di noi, et de commodi, che scorrendosi così innanzi non solo perdiamo con lui (per li quali il parentado è desiderabile) ma de partiti buoni, che potriano passare mentre senza certeza del successo s’aspetta questo. Ho voluto che Vostra Altezza sappia il tutto tanto avanti la mia partita che possa ordinarmi quel che li pare da fare in essa. Havevo disegnato, come le scrissi già, con occasione //c. 546r// di domandarle quel che, venendo costà dovevo rispondere a Vostra Altezza sopra questo proposito che già havevo mosso a Sua Santità d’ordine di lei, ma vedendo che pur dopo tanto tempo sta anco su le medesime, et che quanto più si va innanzi, et si consuma del pontificato tanto più si perde di quel che possiamo sperarvi, et credendo non errarsi a pensare, che Sua Santità stimi che interese nostro ci muova, ho voluto ponere in consideratione a Vostra Altezza, se le paresse scrivermi un capitolo mostrabile, co’l quale però altro non mi ordinasse, che di domandare a Sua Santità la mente sua nel modo suddetto, con mostrarle, che havendole mosso questo ragionamento, et trovatolo bene sentito da lei, nona pigliariamo altro partito fino alla sua resolutione manifesta, et d’altro canto non vorremmo nuocer a Virginio con perdere quelli che utilissimi si offeriscono per lui. Questo medesimo se ben saria [cre]duto a me solo, potria forse parere anco a Vostra Altezza che harà più autorità et caldo per risolvere se io potessi allegare et havere pronto per lettera l’ordine suo, del quale però io mi servirei sì discretamente, che Sua Santità non fusse per escludere, sì che impatienza nostra potesse poi dire d’essersi buttata altrove, o potesse a noi convenire di pregarla del medesimo d’altra maniera.
Sopra il disegno che la dice, pensando io, (perché gl’altri due notabili s’intendono per se stessi) non so immaginarmi che voglia se non portarci alla primavera, per havere intanto fatta la promotione del dicembre, senza più respetto nostro di quel che havesse nell’ultima, et così pieno il numero delli settanta in tempo, che non intervenendovi l’interesse del parentado, non havessimo havuto sicurtà di pretendere et parlare, come ella forse crede che saremmo //c. 546v// per fare con esso. Et se bene questa della promotione è più la parte nostra che di Virginio, il quale in molte altre cose può venirne favorito fra tante liti et occasioni che ci sono, non di meno io vorrei che procurassimo di congiugner il fatto nostro ancora, poiché pur non è poco il fastidio che habbiamo di lui all’incontro, et questo è che mi muove a sollecitare, et desiderare con l’effetto la presteza, et non pensare solamente all’impedir altri di occupare il luogo, sapendo che se il tempo scoprisse al papa occasione di suo maggior gusto, non guardaria a cosa, che se ne fusse trattata fra noi; oltra che vedo la voglia, et l’instanza de suoi, et non vorrei correre risico di perdere in un punto anco il resto, poiché interessandosi con altri, se ben mi restaria l’amicitia di Montalto [5] tanto inclinato, et obligato in tanti modi, non sarei però così certo d’haverlo ai nostri disegni. Sia dunque servita Vostra Altezza poiché nella presteza può scorger vantaggio di Virginio et nostro, risolvere fra sé, et ordinarmi quel che le paia da fare in questa occasione, et ordinarmelo, acciò che io sicuro di fare conforme al suo volere mi sodisfaccia nell’opera mia, nel fuggire la freddeza, et il precipitio del negotio. Stamane Sua Santità si è dichiarata volere dismembrare il Camarlingato, riducendolo a quattromila, che vuol dire al prezo di quarantamilia. Sono nominati concorrenti Cornaro [6], Justiniano [7], Gaetano [8], et Mattei [9]; li tre primi si aiutano con tutte le maniere, ma Sua Santità inclina solo a Mattei, et oltra quello che volse che  gliene dicessi io, ella medesima glien’ha detto hoggi in modo, che di resoluto al //c. 547r// non attendervi (sic), ha preso tempo di consultare di nuovo con li suoi, et sarà facil cosa che vi attenda per guadagnarsela più pronta con questo ossequio nell’altre occasioni di suo benefitio. Il mio gusto si compiace più in lui che nelli altri per giustissime cagioni, che Vostra Altezza sentirà, et non la muova opinione, che sia farnesiano, perché li suoi riconoscono molto dalli antichi nostri, et io oltra gl’altri tempi ho trattato in modo con esso le cose sue, che confessa meco obligo particolare in queste badie havute ultimamente. Ma quel che sarà non so. Et con questo a Vostra Altezza bacio la mano.
Di Roma li xxxj di agosto M.D.LXXXVIJ.