
Roma, 22 marzo 1570
Med. 5085, [già num. 107], cc. 209r-210va.
Dopo la partita di Vostra Altezza il catarro di Nostro Signore, se bene per molti giorni le fu tolerabile, non lassò però di darle tosse con qualche altra molestia, ma però leggiera sì che domenica Sua Santità volse trovarsi alla Cappella, dove et con l’aspetto, et con la voce comparse pur sì languida che fece conoscere in lei più bisogno di quiete che di quella fatica, che passò nella benedittione et distributione delle palme, la quale finita, per la via medesima che venendo havea fatta a piedi, in sedia (lassando i cardinali alla messa) se ne fece riportare alle sue stanze, dove per tutto quel giorno et l’altro appresso non sentì cosa molto estraordinaria. Ma la notte del lunedì venendo il martedì passò ella tutta con tanto travaglio et dolore per la difficoltà dell’orina, che pur troppo dubio messe della salute sua a chi fu presente, massimamente vedendosi quella poca dopo più hore molto viscosa eta tinta di sangue et non giovarle alcun remedio. Hiermattina, se ben non al tutto libera del travaglio passato, né sicura che altro di nuovo non fusse per //c.209v.// sopragiugnere, pur si trattenne più quietamente et con la sustanza di liquirizia et con un poco di trebbiano ch’io li mandai superò talmente la tossa, che me ne benedisse mille volte dolcissimamente. Hieri dopo pranzo subito (che poco prima havevo havuto la certeza del pericolo sì grave) me ne andaib a Palazo, dove stetti tutto il giorno con Alessandrino, il quale col secretario et gl’altri suoi insieme restava non poco sbattutto per così inaspettato accidente, et al partire mio lassai Sua Santità in continuo acquisto di quiete. Et stamane, havendo mandato a intendere, ritraggo che Sua Beatitudine ha fatto stanotte un sonno continuato di sette hore giuste et prima et più poi orinato tanto et con tal facilità che non sente alcuna graveza del male passato ma, tutta scarica et lieta, designa d’andare hoggi a Cappella, se ben dovrà lassarsi meglio consigliare.
Non significai questo caso a Vostra Altezza con corriere espresso, perché non v’era più cosa molto notabile quand’io poteva //c.210r.// scriverne. Ma ho ben voluto darle conto di quanto è successo anco di poi acciò che, se pur altro romore le penetrasse contrario, sappia quanto ha da credere et ch’io starò vigilante per non esser mai l’ultimo a significarle quel che accaschi di momento in ciò et in altro. Nel resto attendo con gran desiderio nuova di suo salvo arrivo et, non m’occorrendo altro, resto raccomandandomi con ogni affetto nella buona gratia sua et in quella del Signor Principe, con pregar a tutti continua prosperità.
Di Roma li xxii di marzo 1570.
[Post scritto] Tenuta alli 24, et di nuovo non m’occorre dire se non che Sua Santità hiermattina et stamane ha voluto intervenire alla Cappella et far le parti sue, né questo gl’ha tolto che la non sia sempre andata ritornando al suo primo stato di salute, al quale si può dire condotta, poi che questa sera sta allegra et senza alcuna molestia notabile d’orina o d’altro. Ma non le bisogneriano molte di simili strette, sendo tanto violente. //c. 210v.// Io me ne sono stato questi due giorni a Palazo nelle stanze d’Alessandrino per trovarmi più commodo alle Cappelle etc tengo salute per gratia di Dio, il quale a tutte Vostre Altezze la conservi con quella prosperità ch’io desidero.
a Nella rilegatura della filza la lettera precede quella di Ferdinando a Francesco del 23 marzo 1570 (già num. 106).
a Viscosa et ms. interl. sup.
b Segue da barrato.
c Segue mi barrato.