Il cardinale Ferdinando al granduca Cosimo I

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Roma, 13 maggio 1570

Med. 5085, [già num. 131], cc. 261r-262r.

Io non feci poi domandar l’audienza per hieri a Nostro Signore, havendo presentito che Sua Santità havea destinata quella giornata per le Sette Chiese, le quali feci ancor io, come prima havevo resoluto, et fra via riscontratola gli tenni servitù con molto suo piacere. Stamane poi son stato da lei et gl’ho fatto vedere la lettera del Mannello conforme allo ordine di Vostra Altezza, allargandomi a dirgli della natura di costui, delle pratiche sue di molt’anni et delle dependenze ancora, con quel di più che Vostra Altezza mi havea commesso per alleggerimento dell’animo suo. Risposemi che Vostra Altezza stesse pure di buon animo che queste cose non le dariano altro fastidio che di trovarne ogni minutia et castigarle con ogni severità, et che faria mettere costui in Castello per cavarne con la forza de tormenti quel che non si potesse havere da esso in altra maniera, et proroppe in una detestatione così acerba di questi concetti che all’hora all’hora haria commessa la sua captura, se io l’havesse poco più spinta, affermando ella che non la poteva ritenere rispetto d’alcuno et che anco all’ambasciatore istesso faria il medesimo se l’havesse per colpevole di simili cose. Ma io, havendo ben pensato che il far così subito instanza di questo poteva guastare il negotio intero //c. 261v.// di comprendere gl’altri complici, contra quali ancor’ella minacciava, poiché della lettera non son certo, et una semplice copia mi parea che fusse cimento debole per questo motivo, risposi, domandandomene ella il parere mio, che, sendo stata questa lettera intercetta nel modo che se potriano haver dell’altre et non m’havendo commesso Vostra Altezza se non che io glie la mostrassi, a fin che ella vedesse gli spiriti maligni che vanno a torno, non potevo se non rimettermi al prudente giuditio suo. Si mostrò resoluta di gastigarlo et render pentiti tutti quelli che havessero parte in queste pratiche et a questo effetto desiderare la data di questa lettera et che Vostra Altezza facesse opera d’havere qualche originale di simile, o pur minore importanza. Io gli dissi che della data procurerei notitia et che, andando le sue lettere nel piego dell’ambasciatore, saria ben facile d’haverle qua per vederle et mandarle poi, ma non potria già ritenerle Vostra Altezza in Firenze senza troppa offesa di quelle Magnifiche Maestà, ma che, se l’ambasciatore, in casa del quale sapeva questo temerario havere sputato le medesime cose, fusse domandato da lei et gli direbbe forse questo et molto più. Promesse di domandare et volera mettere la mano in ogni modo et riconoscere il caso con ogni severità. Questo è quanto è passato et parmi haver rivolto il negotio su questi ministri franzesi //c.262r.// in modo che essi non potranno ritirarsi di fare il resto, che loro et noi desideraremmo. Qual resolutione ella sia per pigliare dopo il ragionamento con l’ambasciatore, si vederà et io ne darò conto a Vostra Altezza a cui, dicendo fra tanto che mercoledi o venerdi al più lungo aspettiamo promotione, le baso la mano affettuosamente, raccomandandomi nella buona gratia sua.

Di Roma li xiii di maggio mdlxx.

a Volermi, -mi espunto.