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Roma, 11 marzo 1571
Med. 5085, [già num. 177], cc. 362r-365r.
Tutto quel che n’apra la via di condurre a qualche buon termine le difficultà nostre con l’imperatore credo dover piacere a Vostra Altezza che le si scriva giornalmente con ogni diligenza. Però con questa occasione le farò sapere quel che con Pacecco et con me habbia hoggi passato il cardinale Santa Croce. Disse che, havendolo visitato due dì sono l’ambasciatore cesareo, d’un in altro ragionamento vennero in proposito di questi romori dello imperatore, sì che a Santa Croce venne bene di dire: “Il punto sta qui: se Fiorenza è suddita o no all’imperio, perché il papa in questa attione l’ha havuto per Stato libero et al gran duca come a signor libero ha potuto senza alcuna eccettione dar questo honore. Se è suddito et feudatario, ci potria essere qualche dubio, et qui non bisognaria ingannarsi”. L’ambasciatore replicò che l’imperatore non stimava veramente o affermava Fiorenza soggetta di stretta et esatta soggettione allo imperio, ma di quella maniera generale che con larga ragione pretende essere a quasi tutte l’altre d’Italia superiore et che vien confermato anche per le historie de fiorentini medesimi et dalle due investiture ultime fatte da Carlo V; ma che haria ben potuto et dovuto Vostra Altezza mandar qualche homo grave //c.362v.// all’imperatore et bene instrutto, sì che in voce et in scritto li havessi mostrato i fondamenti di questa libertà et havesse potuto restar capace delle pretensioni di Sua Maestà perché trovarebbe che la si appaga di ragione. Il cardinale rispose non essere honesto, né credere che Vostra Altezza o Nostro Signore volgessero mai il pensiero che si venisse a dirizar questo giuditio appresso Sua Maestà et far giudice lei, che è parte. Replicò subito l’ambasciatore non dire che si facesse giudice Sua Maestà, ma che si mandassero homini i quali estraiudicialmente le mostrassino et la facessero capace della ragione di Vostra Altezza et così ponessino questa cosa in negotiatione, perché Sua Maestà, più che d’altro, era restata irritata et offesa dal non essersi dato orecchie a lui, quando in nome d’essa fece instanza che si soprasedesse la coronatione finché si chiarisse meglio questo punto. Santa Croce replicò che Nostro Signore havea all’hora tenuto per tanto chiara la libertà di Fiorenza che giudicò di potere fare quel che fece, massimamente in quel modo con l’animo alieno dal far alcun preiuditio a Sua Maestà, ma che era fatto et che v’erano esempi di dignità date altre volte da questa Sede a principi feudatari d’altri potentati ecc. Nel resto, //c.363r.// che egli lodava et lodarebbe sempre questo modo di ridurre la cosa a negotio, maravigliandosi che Sua Maestà fin qui fusse proceduta così rigidamente solo per acquistar all’imperio una ragione di nessun momento a lei et con aggravio d’un signore suo congiunto et da cui poteva sperare quanto havea visto nelle occasioni dei suoi bisogni. Che quel che desse all’imperio non potea sapere per quanto tempo lo desse a suoi; ma quel che cercava di torre alla casa nostra ben lo tentava contra la successione di Ferdinando suo padre et che però li saria parso che havesse dovuto disponersi a trattare più dolcemente. Rispose l’ambasciatore che Sua Signoria Illustrissima diceva il vero, ma che non poteva, né doveva mancare Sua Maestà et per conscienza di conservare le ragioni dell’imperio, spinto massimamente dai principi, et che non di meno s’haria dovuto cercare di ridurre la cosa a negotiatione. Attinse Santa Croce questo parlare aperto dell’ambasciatore et, havendone gustato, venne hoggi da me et andatine insieme da Pacecco, ce ne ragguagliò ricercandone la risposta et il parere nostro. Rispondemmo ch’io ringratiavo Sua Signoria Illustrissima dell’amore che mostrava di portar alla casa nostra et de buoni offitii che faceva //363v.// per noi, de quali dovea bene tenere per fermo che in ogni sorte d’occasione ci troveria grati come conveniva. Che quanto al poner la cosa in negotio et cercar per tal via qualche buona forma di quietare l’imperatore, questo non era mai stato alieno dal parere nostro et che credevo piacerebbe a Vostra Altezza, ma che, non sendosi fin qui mosso una parola senza il consiglio et partecipatione di Sua Santità, non pigliaremmo da noi resolutione di procedere in questa pratica et sapevamo il medesimo essere l’animo di Vostra Altezza, che sempre nel petto di Sua Beatitudine havea riposto ogni deliberatione. Ma che Sua Signoria Illustrissima, come da sé, haria ben potuto dar conto del medesimo ragionamento a Sua Santità, dirle il parere suo, et veder dove la trovava; che se la pratica fusse a gusto suo, poter all’hora stimar d’havere anco il gusto et la resolutione di Vostra Altezza; et hora, come sempre, sapere che per nessuna mano tratteremmo più volentieri che per la sua. Gl’ha promesso di farlo con la prima occasione assai presto et di risponderci poi. Questo è quanto in sustanza passò fra noi. A me confidentemente havea egli detto prima che col papa havea communicato il tutto et che Sua Santità, gustando, gl’havea commesso che come da sé //c.364r.// ne ragionasse meco et li riferisse quel che ritraeva. Il qual particolare io l’ho accennato, ma non già detto a Pacecco, non havendo voluto Santa Croce, et lo scrivo perché mi par notabile, potendo esser segno di qualche suspetto che habbia Sua Santità di pratiche nostre separate dalla sua notitia, il qual sospetto si levarà con la suddetta risposta,che è la prima ch’io detti solo et poi anco più largamente con Pacecco, et a ciò parmi accomodatissima.
Dissele in oltre Santa Croce che la conclusione della Lega le dava occasione di mandar legati all’imperatore et a Spagna, i quali potriano portar particolar commessione intorno a queste cose. A che tornaria a proposito se di costà nel tempo medesimo mandasse Vostra Altezza qualche valent’homo bene informato delle ragioni di Firenze, il quale potesse disingannare quella Maestà. Che questo ricordo dei legati lo dava per discorso, non per consiglio, o per pensiero che havesse egli di andare perché, sendo vecchio et stracco, volentieri se ne stava alla sua quiete; né dovea credere che ella non usasse in ciò l’opera delle sue creature, fra le quali tante ve n’havea attissime a simil negotio. Il papa rispose che non voleva mandare legati et che per ciò non dovea pensarvi né lui, né altri. //c.364v.// Tuttavia so, come ho scritto altre volte, che è resoluta di mandarli et a Commendone, che havea licenza d’andarsene fuore, ha fatto intendere che non parta. Il che non so se fusse per questo et vedrò d’intenderlo. Ho voluto darle questo ragguaglio acciò veda quanto passa et come così dalla parte dell’imperatore, come da quella di Sua Beatitudine et possa pensare et ricordare a noi o scriver a Sua Santità quel che le occorra, dicendole che il muover l’ambasciatore questi ragionamenti da tante bande mi pare hormai un chiamarci et invitarci agl’accordi et ch’io stimarei buono volgerci tutto l’animo et uscire di generalità, non mi lassando vedere la mia poca esperienza che possa tornar a proposito che una mutatione di tempi o d’homini (che può venirne a ogn’hora) ci trovasse in questi fastidii et non potesse più tosto accrescerli che scemarli, dependendo massimamente in buona parte di qua, dove nelle mutationi del principe si muta tutta la forma degl’humori. Ma Vostra Altezza è prudente et saprà molto bene come convenga usare quel che si va scoprendo dell’animo di Cesare et io debbo contentarmi di farle intendere //c.365r.// quel che giornalmente mi venga a notitia appartenente al servitio nostro. Col qual fine mi raccomando nella buona gratia sua et prego Nostro Signore che la conservi e prosperi quanto io desidero.
Di Roma li xi di marzo 1571.
Questi deputati della Fabrica fanno gran romore perché in cotesti Stati non si conceda la esecutione delle facultà d’essa Fabrica intorno a beni male alienati et erano per darne un memoriale a Nostro Signore molto atto a sdegnarlo, fabricato forse a questo fine dall’arcivescovo di Siena et altri disamorevoli. Ha toccato con mano Sua Santità in Segnatura con più occasione che non si dovria concedere, al meno senza limitatione, et però potria Vostra Altezza o concedere l’esecutione, o commettere allo ambasciatore che giustificassi il soprasedere. Nel qual caso egli sarà informato anco di qua di ciò che possa et debba dire, intanto si sopraterrà xv giorni il suddetto memoriale finché la rispondaa.
a Annotazione di Cosimo I: “di questa cosa noi non sappiamo che sia, ma ben diciamo che sempre si conceda quanto Sua Santità comanda in cose ecclesiastiche et questo principio lo ricordiamo et per questa et per l’altre cose che vengono da Roma et se poi in cose fuor del honesto riccorressi a Sua Santità che a tutto rimediarà: del di sopra ci par cosa da mandar e senza indugiare e con tutte le ragioni nostre autentiche, ma non originali ma altenticate havutone però prima il placet di Sua Santità al quale sia deferito prima questo negotio e [...].