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Roma, 28 giugno 1571
Med. 5085, [già num. 239], cc. 503r-504v.; c. 506r; c. 513v.
Molto magnifico Signor mio osservandissimo,
quattro dì sono Pacecco mi disse che, ragionando con Alessandrino di quel protesto ultimo ecc., Alessandrino, il quale doveva stare ancora alterato per le parole dello ambasciatore catolico già scritte, cominciò a farsi molto acre difensor dell’autorità pontificia, mostrando che Sua Santità havesse potuto dare quel che haveva dato et era per mantener il fatto in tutti i modi, né mai retrattarsia, et in oltre maravigliarsi che ella tolerasse questi affronti senza risentimento, soggiugnendo: «Che può far il Re? Faccia peggio che può: muova la guerra che trovarà riscontro et gli si mostrarà che non si temono le sue forze. Che vuole di qua? rivuol Siena forse? Ripiglisela et il gran duca gliene renda»; et era per soggiugnere che lassasse stare il papa et si volgesse contro alle cagioni dei motivi suoi, i quali nell’animo d’Alessandrino s’interpretavano proceder da questi privati interessi. Ma Pacecco, rompendo a questo passo il suo parlare, dice haver replicato: «Piano, Monsignor Illustrissimo, la guerra è mala cosa et da corrervi così presto, come sa chi l’ha provata. Et quei signori //c.503v.// non vogliono lassare Siena, ma la vogliono per loro, sendo un bello Stato et molto commodo, sì che convien pensar ad altri modi». Et così moderò bene un poco quelb parlar giovenile, ma non giudicò già tempo da fermarlo con oportuni consigli. Onde lo co<n>ferì poi con Medici et Cesi, fra quali fu resoluto che Cesi gli parlasse et lo rimettesse nella strada, sì che non partisse di qua con questo bel concetto o non ne parlasse altrove et desse occasione a qualche difficultà ecc. Volsi Pacecco ch’io dicessi al cardinale che saria stato bene scriverne a Fiorenza, massimamente poi che Alessandrino con lui ancora haveva passato il medesimo. Il cardinale mi disse non tener memoria precisamente di quel che havesse detto con lui Alessandrino et che però non voleva scriver, ma ben lo rimoverebbe lui ancora da questi capricci. Quel che o egli o Cesi habbiano fatto di poi non so, ma potendo essere che Pacecco n’habbia dato qualche cenno, del quale si desideri più largo conto, ho voluto narrar tutta l’historiac , della quale i padroni cavino con la molta prudenza loro quello avviso che li parrà necessario nella passata //c.504r.// di Alessandrino, stimando Pacecco per ciò necessario mandare questo particolare alla notitia loro.
È morto qui in casa il cavaliere Pietro Covo capitano dell’Elbigina, venuto malato da Civitavecchia. Messer Giorgio Vasari ha havuto da Nostro Signore per honore grado di cavaliere Spron d’oro; per utile, un cavalierato di San Pietro et grandi speranze per un suo nipote, che dovrà colorirle quando a tempo nuovo verrà per finire Belvedere.
Avanti hieri arrivò qui messer Giovanni Tolosani da Colle, auditore di monsignor Finetto a Perugia, chiamato per ordine di Nostro Signore per andare con Commendone. È giovane di spirito et di lettere et d’età di 32 anni in circa. Si scartò Lancillotto, sendosi scoperto che egli è il consultor dell'imperatore in questo negotio. Dicemi Pacecco che l’ambasciatore catolico si duole che costì s’aprano li suoi pieghi, a che replicando io che saria qualche nuova inventione di maligni, disse che il secretario di Genova haveva havuto malconcio dalla curiosità l’ultimo, dove in uno stagnone andava il ricapito della Lega; et che scriveva //c.504v.// qua d’havere scritto costà al nuntio ched ne facesse avvertite loro Altezze. Dissi non creder che fusse vero, ma, quando pur fusse, che la cassetta di stagno haria forse dato ombra alle gabelle di qualche frodo o simil cosa, ma che non era da credere chee i nostri padroni, havendo sempre tenuto il passo libero per tutti, ponessero in questo tempo la manof a pieghi dig Sua Maestà. Volse ch’io lo scrivessi et così faccio.
Alessandrino sta combattendo con questi beati che ha di nuovo et puossi giudicar che non harà compagnia a suo gusto, sendo massimamente tutto il maneggio in mano loro. Non piglia secretario, ma disegna far da sé i suoi negoti et parte servirsi del Tarugi, suo maestro di camera, del quale (et per che è galant’homo, et perché Sua Santità fa più stima che di tutti gli altri insieme, havendo per sua mano fatto tutta questa espeditione et dato a lui oltra l’aiuto di costà, amorevolissime parole et speranze) è Sua Signoria Illustrissima per valersi più che d’ogn’altro. Mostra d’esser stato sempre amorevole de padroni nostri et io l’ho fatto condurre qui [a]l cardinale dal quale egli s’è partito infinitamente sodisfatto et ha promesso //c.506r.// di volere far sì che l’ambasciatore lo conosca per servitore loro. Ho voluto dir tutto questo a Vostra Signoria per suo ragguaglio. Et non m’occorrendo altro per questa, le baso la mano et prego ogni contento.
Di Roma li 28 di giugno 1571.
Di vostra Signoria molto magnifica affetionatissimo servitore Piero Usimbardih.
a A questo capo di Alessandrino harò caro che la non mi risponda marg. sinis.
b Quella, -la barrato.
c Segue da q. barrato.
d Segue se barrato.
e Segue q barrato.
f Seguono alcune parole barrate.
g Segue loro barrato.
h A c. 513v. si legge Il cardinale Alessandrino partì questa notte delli 29.