Il cardinal Ferdinando al principe Francesco

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Roma, 11 febbraio 1572

Med. 5087, n. 17 (cc. 50r-53r).

Hieri presentai a Nostro Signore la lettera del granduca inviatami da Vostra Altezza sopra la citatione dell’imperatore et, conforme al contenuto d’essa, le domandai il consiglio et aiuto suo, mostrando che Sua Altezza si trovava in stato che le conveniva o rispondere et con questo segno di obedienza pregiudicare alla gratia del titolo fattale da Sua Santità et alla libertà dello Stato suo, il che forse sopra ogn’altra cosa cercava l’imperatore; o, non rispondendo, dar occasione d’esser condennato in contumacia, a che si vedeva volta la mira di Ferrara; et che in ciò da nessuno altro doveva o poteva venirle remedio che da Sua Santità, sendo l’interesse commune et non volendo Sua Altezza far se non quel che comandasse lei, a cui per ciò ricorreva, come ella vedrebbe da quella lettera, della quale prima volevo avvertirla (acciò che la forma d’essa non paresse in qualche parte più modesta et rimessa di quel che forse richiedesse questo atto dell’imperatore) essersi fatta così, per poterne mandar copia a S. M.tà Cesarea senza alcuna mutatione, Sua Beatitudine, leggendola, l’osservò molto bene et a capo per capo replicò quanto le occorse, dicendo in sustanza, non esservi licenza chiara et questa non scritta, et che si farebbe ogni diligenza di trovar modo da sbatterla, et aiutarsene, havendo //c.50v// già commesso al cardinale dalla Chiesa, che ben bene s’informasse et pensasse quel che si potesse fare; che poca credeva esser la ragione di Modona et Reggio, havendola in un certo modo venduta Paolo III. A questo dissi io non esser sì poca che Sua Santità dovesse non stimarla, atteso massime che quel papa, quando prese li danari et poi anco quando passò per quelle città, fece certa protestatione degna di consideratione per servitio di questa Sede, per quanto dice Farnese, la quale ho fatto cercar per questi archivi, et non si trova ancora. Ma potrebbe Sua Santità dar cura a Sirleto di cercarne fra le cose più reservate di quelli tempi. Dissi di volerlo fare per ogni modo, ma credo che Farnese dicesse così per ricoprir il fatto del zio. Pur io ricordarò et vedrò che ci si usi diligenza. Mostrò di non voler, quanto stesse in lei, che a Ferrara succeda di confondere questo giudizio, ma che un nuovo gliene converrà intentar, se pur vorrà fermarsi in questa inventione, la quale gli si guastarebbe in ogni modo. Et mi commesse che, poiché haveva già dato questa cura a Chiesa, io li dessi quella lettera ancora et l’informassi et ricordassi //c.51r// quel che ci occorresse, acciò che egli et il Camaiano fussero poi con Sua Santità per risolvere quanto si dovesse fare. A quel che era in fine, delle contumacie di Ferrara con Sua Santità, ella trasse un sospiro, ristringendosi nelle spalle senza dire altro. A Chiesa ho poi dato la lettera, raccomandandogli il negotio come servitio commune di questa Sede et nostro et per l’un conto et per l’altro s’è mostrato prontissimo. Il Camaiano li sarà appresso per discuterlo con lui et pensare a modi da proporre a Sua Santità per fermar o divertir il giuditio, fra quali sarà ancora quello che Vostra Altezza appunta nel fine della sua lettera. Et a me pare che ci possiamo promettere tutto quel che ella convenientemente potrà fare, mostrandosi molto animata a favor della causa nostra, et non meno ansia per la sua. Però se altro si fusse pensato di costà, potrà Vostra Altezza darne avviso.

Al dottor Paolo Pla è resolutissima Sua Santità di non far la gratia che si desidera, dicendo non dover esser vero che sia vecchio et inhabile a venir qua, poiché basta a rapire et disviare le monache, il che richiede forza d homini vigorosi. Che egli è un tristo, infame, et che se il re stesso gliene chiedesse, glielo negarebbe //c.51v// assolutamente; che per sodisfar dal canto nostro al respetto di Ruy Gomez che tanto ci premeva, io potrei dire a questi spagnuoli che, nel farne grande instanza a Sua Santità, ella se n’era alterata et acerbamente m’haveva ributtato subito, perché ella tutto confermarà et cea ne farà grado in ogni occasione sì che potranno sodisfarsi di noi.

Del matrimonio per monsignor d’Angiou, disse che la regina havea parlato col nuntio et fattogliene scrivere da lui ancora et che ella ordinava al nuntio di Spagna, che ne movesse proposito col re; ma parerli da trattar prima del matrimonio, et poi della dote, per non guastar quello con la domanda di Stati per questa, come era avvenuto altra volta, che ne fu ragionato col mezo del duca Alva. Dissi che Sua Santità era prudente et che poteva praticar il negotio come meglio le paresse; pur che in tanto aggradisse la devota volontà di quelle Maestà verso di lei et la loro inclinatione alla quiete. Et ella mostrò di farlo volentieri et esser sodisfatta di loro, dicendo che hoggi si portano bene et che, se levassero via quelle heresie, non desiderarebbe //c.52r// più oltre. Et in questo proposito mostrò saper che continuamente erano instate et sollecitate dalla regina d’Inghilterra a collegarsi seco, ma che questa Lega era più a difesa che per altro, temendo la detta regina delle forze del Re Cattolico. Tornai sul ragionamento sopra l’elettione del Re dei Romani, ricordandole quanto ne havevo passato altra volta con lei, et fui benissimo inteso. Ma quando Sua Santità sentì la persona proposta a nome di Sua Altezza, ella girò la testa, né giovò cosa che io le dicessi delle qualità del Gerio, perché ella sempre replicò alla persona, mostrando prima non voler levar un vescovo dalla sua chiesa per questo effetto, di poi che egli fusse troppo conosciuto et troppo apparirebbe. Et alla fine disse in somma che egli andarebbe per una cosa, et ne farebbe un’altra. Con che, accennando di praticheb del pontificato per Morone, io le dissi che quel che havesse animo di far in questa parte l’imperatore non staria indietro per il non andar di quest’homo, ma che Sua Maestà haveva tanto poca parte in questa corte, che poco si doveva temer in ogni //c.52v// evento la forza sua, in qualunche modo ella la concertasse. Rispose di nuovo non piacerli la persona di lui, né volerlo mandare, ma che harebbe caro se le proponesse qualcun altro, se s’havevano homini atti. Sì che il suo particolare si può dir escluso.

Resi anco a Sua Santità la lettera di Sua Altezza scritta a instanza di Spagna intorno al persuadere il Re Cristianissimo alla Lega, dandole conto dell’opera che s’era fatta di costà da lei al medesimo effetto. Ascoltò tutto con molto piacere et disse che come haveva fatto sin qui più volte, così seguitarebbe di affaticarsene, conoscendo quanta riputatione s’acquistarebbe alla Lega se v’entrasse quel Re; che ringratiava Sua Altezza del ricordo et commendavala sommamente di quel che vi haveva fatto lei. Questo è quanto ho da dire sopra le cose che mi restavano di trattare con Sua Santità, non havendo voluto metter più bocca nella dispensa di Francia, perché ella me ne impose silentio per tutti noi, et sopra le speranze che dava il nuntio, mi rispose quanto ho scritto per altre. Resta che //c.53r// Vostra Altezza faccia penetrar tutto alla notitia di Sua Altezza per quanto mi occorresse dirlene in risposta, et fra tanto et sempre mi conservi la sua buona gratia.

Di Roma li xi di febraro 1572.

[Post scritto] Raccomando a Vostra Altezza Simone Mancini da Cortona per la gratia che desidera di poter mandar a studiar in Perugia Domenico suo figliuolo et, se si contentarà di consolarlo, glien’harò obligo.

a Ce aggiunto in interlinea superiore sopra me cassato.
b Pratiche in un primo tempo seguito da per, poi cassato.