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Roma, 1 marzo 1572
Med. 5087, n. 24 (cc. 67r-70v).
La brevissima lettera di Vostra Altezza de’ 23 passato non richiede in risposta, se non che si detteno i limoni a Nostro Signore, il quale gli hebbe molto cari, et gli assaggiò subito, facendoli guardare diligentemente. Intorno alla tenuta della signora Giulia havevo risposto il medesimo, ma non potetti mancare di proporla a Vostra Altezza. Della salute di monsignor Beccadello ho sentito piacere et a monsignor Camaiano basta che se le sia ricordato il suo desiderio.
Tre dì sono con buona occasione ricordai a Morone che, sendo resoluto Nostro Signore di non volere a modo alcuno mandar il Gerio, saria bene pensar a qualcun altro. Risposemi non sovvenirli alcuno, ma che vorria pur rispondere all’imperatore, il quale grandemente si maraviglia et duole di tanta dilatione, et che non vuol già farlo, né entrar più oltre, se Vostra Altezza non li scrive l’animo suo, sì che sapia come debbe governarsi et quanto estendersi, come quello (per mio parere) che, sendosi allargato in persuadere l’imperatore et tiratolo ad accettar la pratica et voler udire, gli par che dalla banda nostra non si risponda hora con quella pronteza che se li mostrò da principio, quanto fu spinto tant’oltre, onde l’imperatore si tenga negletto et egli di ciò venga gravato in buona parte, //c.67v// oltra che si accresce per ciò lo sdegno di Sua Maestà in questa materia, che non può se non difficultar l’accommodamento. Però egli stimaria servitio di Vostra Altezza il non lassar, ma continuar le pratiche intraprese, et di questo la prega et persuade, affermando a Pacecco ancora saper di certo (quel che è verisimile) che non sia per quietarsi il re di Spagna, se non si vede quieto l’imperatore, sì come tutto quel che è seguito dalla banda loro l’hanno fatto di conserto et con participatione l’uno dell’altro, onde si veda che l’imperatore bisogni fermar. Né mi muove quel che ho visto per l’inserto di Spagna, per che havendo voluto intendere da Pacecco la natura et costume di Ruy Gomez trovo che è di dar buone parole a ognuno, et spesso con la mira dell’interesse suo. Né mi par vedere da altro canto che la commessione data a quel don Pietro Fagiarda (che è quel che io aspettavo) contenga cosa di alcuna speranza et risponda alla tanta volontà che si cava dalle parole sue, la quale, se fusse in effetto, crederei pure che don Antonio de Toledo (il quale debbe sapere et vedere le medesime cose) nel scriver al cardinale Pacecco usasse parole più larghe di quel che egli non fa, né ponesse solamente per opinione sua, che il re non fusse per esser così duro con Vostra Altezza, come ella vedrà dallo scritto //c.68r// alligato, ch’esso Pacecco fece far al mio secretario quando gl’hebbe letto l’inserto. Ond’io temo, et con me il predetto Pacecco ancora, che le cose di Spagna siano forse credute dai ministri et da noi come le vorremmo come le stanno, et che, poi che niente pongono in effetto, non sia forse da riposarvisi tanto, et che non si mostri più che non si fa di stimar l’imperatore et non si creda che il re gl’harà sempre molto respetto. Perché, se ben l’haver trattenuto sin qui Sua Maestà Cesarea con parole non par che habbia nociuto, mostrandosi dalla banda sua d’accordare più voglia che mai, potria però forse il vedersi (come dicono i suoi) negletto più lungamente, precipitarla a qualche altra bestialità o ostinarla in tanta dureza, che né anco il re potesse poi a sua posta revocarlo senza difficultà et moto maggiore. E’ vero quel che ella spera che Commendone et il padre Toledo faranno, ma tuttedue, come ministri del papa, secondo la loro commessione batteranno con le ragioni et con l’autorità per questa Santa sede, né già l’indurranno a dichiararsi se non vi sia o qualche ministro di Vostra Altezza, o qualche altro homo di mezo con oportuno mandato et instruttione che ce lo conduce per via d’accordo. Il quale crederò bene che così si otterrà, et tanto più facilmente et più honorato et utile, quanto più il negotio d’esso sia congiunto di tempo //c.68v// con l’opera che in questo suo ritorno vi farà il legato per nuovo ordine di Sua Santità, dal qual legato questo giovamento s’ha da sperare. Però crederei fusse bene rimetter in piedi la pratica, sì per trattenere l’imperatore con opinione che si stimi questa sua inclinatione, sì per veder dove pari questo sollecitar de ministri suoi, che, se ben si può credere che sia con disegno et desiderio suo di valersi di Vostra Altezza ne bisogni suoi di guerra o d’altro, debbesi però anco conietturar dal procedere suo passato che egli sia per volere solamente quanto et come potrà con sua dignità, la quale (se bene si faccia il conto suo) non è veramente nel receder immediate dalle cose fatte et concedere et approvar il titolo con alcuna occasione di Lega, o a semplice instanza de collegati, senza qualche previa conventione, dellaa quale, non si movendo pratica dalla parte di Spagna (come gl’inserti passati dell’ambasciatore et poi del nuntio accennavano et pareva che dovesse sperarsi dalle richieste et offerte di Vostra Altezza), né parlandosi di qua se non di ragione per il legato, (il qual modo, di disputar di ragione solamente, è fra le querele di Cesare accettate in Spagna) non so vedere se siano per la strada da strigarci così presto et venir al fine di questo negotio, o seb pur andiamo poco utilmente consumando //c.69r// il tempo senza pigliar quelli partiti ai quali ci habbiamo da accostare in ogni modo con più o manco vantaggio, secondo che portarà la mutatione che col tempo possono ricevere le cose del mondo: che può portar così male come bene. Però torno a dire che, venendo di Spagna solamente conforti et buone parole, alle quali gl’effetti ben considerati in sustanza non rispondono, paia da rappiccar la pratica d’accordo con l’imperatore mediate o immediate, senza guardare se sia stata accettata o no fino a hora, ma con pensare che siamo in un certo modo invitati, et in queste cose usar la dissimulatione degl’artifitii de ministri o d’altri per scoprir il vero et venir a qualche conclusione, la quale s’haria per facile, se hora al ritorno di Commendone fusse a quella corte homo espresso, non dico per udir solamente, ma per trattar et concludere quel che Vostra Altezza gl’havesse ordinato, et in ciò valersi della presenza et efficace persuasione del legato. Ho voluto dir tutto questo a Vostra Altezza spinto dalla gelosia et desiderio che ho della quiete sua et di tutta casa nostra, rimettendo nel resto la resolutione al suo prudentissimo giuditio, col qual, se non scorgerà qui prudenza sopra //c.69v// gl’anni miei, vi conoscerà l’infinita amorevoleza et osservanza ch’io le debbo et condonarà a queste l’ardir di passar tanto innanzi.
Nostro Signore m’ha fatto dir che gl’è mancata la polvere et acqua per la renella et che però io procuri che Vostra Altezza gli mandi provisione dell’un et dell’altra da potersene servir per sé, come ha fatto sin qui. Però le piacerà dar ordine che ne sia mandato quanto a lei parerà, et con le prime occasioni.
Et con questo fine mi raccomando con ogni affetto nella sua buona gratia.
Di Roma il primo di marzo 1572.
[Allegato]
//c.70r// Parole del cardinale Pacecco
Il cardinale Morone nell’ultima congregatione della Lega mi disse volermi dir quattro parole piene di sustanza come a amorevole parente et servitore di Sua Altezza. Et erano queste: che per la citatione fatta ella non si sdegnasse in modo alcuno con l’imperatore, né lassasse la pratica del titolo, essendo cosa differentissima dalla citatione, fatta a instanza et importunità mera di Ferrara, perché lui sapeva certo che, mentre Cesare non s’accordasse in questa cosa del titolo, mai Sua Altezza haria quiete le cose di Spagna, né quel re si potria dichiarare suo amico, ancorchéc lo desiderasse; et che non mi voleva dir altro, se nond pregarmi di nuovo instantissimamente che io facessi quest’offitio con Sua Altezza et le supplicassi et persuadessi a rispondere alla lettera del predetto Morone et seguitar questo negotio come haveva cominciato et che l’ambasciatore cesareo ogni dì lo sollecitava per la risposta di queste lettere.
La sera medesima venne da me Massimo Grotto et mi disse che l’ambasciatore cesareo li haveva detto che l’imperatore era sdegnatissimo con questi signori per tre cause. La prima: perché havendosi trattato qua di pigliar il titolo di mano sua con quelle clausole che sono nelle scritture d’Alessandro et di Sua Altezza, non si seguitava il negotio. La seconda: peerché erano passati sei mesi che non si rispondeva alla lettera di Morone, parendo un certo negletto che offendeva Sua Maestà. La terza: perché sottomettendoseli Ferrara et volendo il giuditio suo, Sua Altezza fuggiva tanto di venirvi.
Ho havuto lettere dall’amico de’ 2 di Febraro et, ancorché non siano in risposta de la che io li scrissi per veder se conformava con quelle parole di Ruy Gomez, dice però succintamente che nel negotio del granduca, se ben al principio s’habbia havuto ombra, lui è stato sempre d’opinione che il re non debba caricar tanto la manoe //c.70v// al granduca, ancor che le paresse al principio che Sua Maestà havesse cagione di sdegnarsi.
Dice ancora haver inteso che Sua Altezza restò malsodisfatta di Torres, che mi promette che sempre lo giudicò molto passionato per il servitio di Sua Altezza et che fece caldissimi offitii; et che anco mi promette che a persuasione di alcun non mi scrive questo.
Dice anco che Sua Maetà resta sodisfattissima di Marcantonio Colonna non per le cose dell’anno passato, ma per il procedere di questo ultimo anno.
a Della precedeva che, poi cassato.
b Se aggiunto in interlinea superiore sopra che, espunto.
c Ancorché in un primo tempo seguito da volesse, poi cassato.
d Non in un primo tempo seguito da che, poi cassato.
e Mano è scritto nell’angolo inferiore destro. La sottolineatura è originale.