Il cardinal Ferdinando al granduca Cosimo I

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Roma, 27 marzo 1572

Med. 5087, n. 34 (cc. 92r-95v).

Col corriere di Leone fu l’ultima mia per la quale detti conto a Vostra Altezza di quel che sin a quell’hora fusse successo intorno alla salute del papa. Passò poi quella notte con assai manco inquietudine del solito. La mattina celebrò la messa et tutto quel giorno delli 25 andò senza travaglio, ma la notte seguente su le iii hore si destorono dolori di fianco, che gli dettono da fare eta, se ben con un servitiale cessorono, non però fu in modo che non gli rompessino et togliessero il sonno, di maniera che si potette dir mala notte. Levossi hiermattina a messa, dopo la quale riposò poco più d’un’hora con sonno sì profondo che li dette molta recreatione; et hieri poi attese alle sue faccende di brevi, supplicationi, etb anco unc pezo stette leggendo, et il resto passò in burla. Questa notte passata non ha havuto accidente straordinario, ma ha mal dormito et poco, havendolo travagliato i medesimi dolori di fianco, se ben leggermente, et stamane dopo la messa tornarà a letto o cercarà di dormir sopra una sedia, per ricever manco offesa dal catarro, che tuttavia lo molesta. Non ha havuto, né ha febre et i medici lo tengono sicuro, poi che questa manca et, se ben dorme poco et ha quei dolori, non di meno resta libero per buoni spatii //c.92v// et nel resto orina facilmente, se ben non ha cessato interamente quel cociore della orina. Dicemi il medico d’Urbino havere trovato nell’orinale suo una grossa marcia, la quale teme non venga da qualche ulcere nelle reni. Tuttavia crede ancora che haec infirmitas non sit ad mortem. Se ben alle orecchie di Sua Santità non penetrano che li domestici et ministri, spedisce in ogni modo molte cose, et di quelle della Lega vuol sentir ogni minutia et in somma fa buonissimo animo et dice saper molto bene quanto può reggere a questi fastidii et, se ben è sbattuta, mostra però il suo procedere quel che dicono alcuni de suoi domestici: che ella sia stata peggio altre volte. Avanti hieri ella ricordò a Rusticuccio l’espeditione del Vestrio, sollecitandola, et mostrandone ansietà, onde egli chiamò subito il Camaiano, il quale lo ragguagliò di quel che era passato, et che restava; et subito si commesse il breve, il quale hieri fu poi spedito, et d’ordine pur di Nostro Signore si sollecitò Chiesa, il quale è quasi in ordine col dispaccio per la corte cesarea. Hoggi il Vestrio (se potrà)d licentiarà da Sua Santità la quale si procurarà che li crei un suo fidato notario con facultà di corsore per poter far protestationi //c.93r// et comminationi, dove le esortationi non bastino, havendo mostrato Sua Santità di voler far quanto bisogni et finalmente proceduto secondo il ricordo datole più volte di parlar fuor de denti et con grandissimo risentimento, sì che questi ministri ferraresi son pieni di paura et fariano d’accordo ogni dilatione, havendoli detto Sua Santità che non vuol partir et verrà su cavalli delle poste con quella diligenza che comportarà l’età comportar in modo alcuno queste impertinentie, ma che si finiscano in ogni modo, col far cedere interamente a quel duca etc. Questo si cava da Chiesa et da Santa Croce, con i quali Gorone, dopo questo romore del papa, incerto ancora di quel che si trattasse, andò a dolersi che non si chiamassero i ministri del suo duca come pareva conveniente quando si trattasse di quel che apparteneva all’honor suo etc. Chiesa rispose da homo da bene, da servitore del papa et da amico di quel duca, biasimando et rimostrandogli la vanità del concetto et degl’artifiti suoi; quanto mal facesse a voler alterar le cose del mondo con queste deboleze; che doveva differirle a un altro tempo, non muoverle hora, che le cose publiche ne possono ricever tanto disturbo. Soggiugnendo che il papa non era per comportarlo mai et che si trovava //c.93v// ben hora in stato questo negotio per l’alteratione et resolutione che faceva Sua Santità che quel duca haveria occasione o d’aprir la via a grandissimi pregiuditi suoi et alla rovina ancora, o di quietar l’animo a consigli paterni et prudenti di Sua Beatitudine. Gorone, non ancor rihavuto dal timor della bravata sudetta (sentendo conformi le parole di Chiesa), s’appiccò a quel che haveva detto di differir in altro tempo, mostrando che questo non saria gran cosa, ma spaventarlo che il papa li havesse detto voler che in ogni modo il duca cedesse per sempre. Il che sentendo Chiesa, fermossi destramente ancor lui su questo, et lo ne rimandò assai sbattuto sì che, se egli scriverà al suo duca tutto il successo, il Vestrio (del quale essi non hanno penetrato fin qui che vada, né quel che porti) trovarà forse da far bene quel che si desidera. Fu poi Gorone da Santa Croce nel medesimo modo dolendosi et, se ben Sua Signoria Illustrissima stette più sul generale, li disse però in sustanza et in poche parole quel che lo punse non punto meno che il parlare di Chiesa. Talché si può dir che essi stiano aspettando con molto timore il parto di questa bravata del papa et delle parole //c.94r// de cardinali, né però sanno dove vada a parar il negotio il che fa che Gorone vada aggirandosi tutto il giorno. Col cardinale Chiesa parlò poi anco l’ambasciatore cesareo per raccomandare le cose ferraresi et scoprir paese; et volendo escusar il fatto con la licenza data a lui, Sua Signoria Illustrissima le disse arditamente chee non diceva già il papa questo che diceva lui, anzi si doleva che delle parole che potessero esser corse tra loro a questo proposito, ma con altra intentione di Sua Santità, egli se ne valesse di questa maniera et che, se ne parlava con lei et l’affernasse pur per vera, sentirebbe una risposta tanto aspra che vorria più tosto non havervi pensato mai. A che se ben l’ambasciatore replicò alcune cose per honor suo, parve però che restasse confuso. Ho voluto che la sappia tutto questo che il Camaiano, sollecitando Chiesa et Santa Croce, ritrasse da loro, acciò non le sia ascosto parte alcuna di quel che passa che possa appartenere al servitio et alla sodisfattione sua, non lassando dir che di tutto s’è dato parte a messer Ottaviano acciò se ne vaglia per negotiar con maggior vantaggio. Di che egli s’ingegnarà, andando con molto piacer a far questo servitio per amor nostro et per dispiacer a Ferrara. Hoggi aspettiamo //c.94v// Alessandrino, del quale mi dispiace, se è vero, che non si sia fermato in Firenze. Pur si potrà supplir di qua a quel che havessero profittato i discorsi che si fussero fatti costà delle cose publiche, le quali non posso ancor credere che si siano lassate in silentio interamente. Intanto, persuadendomisi l’Altezza Vostra star con ansietà della salute di Sua Beatitudine, ho voluto con questo corriere darlene pieno ragguaglio et dirle che il dispaccio per la corte cesarea s’attende tuttavia et che si mandarà in tempo da passar innanzi al Vestrio, che domattina potrà forsef sua. Con lui scriverò di quel che sarà stato provisto di qua per il viaggio, acciò giudichi il Signor Principe se bisogni supplire in parte alcuna alle sue commodità. Che è quanto per hora mi occorre et a Vostra Altezza con ogn’affetto bacio la mano.

Di Roma li 27 di marzo 1572.

[Post scritto] È stato da me, dopo haver io scritto fin qui, il signor Marcantonio Colonna, il quale vien da Palazo et, havendo per meza hora negotiato con Sua Santità, mi dice che ella si contenta honestamente del riposo della notte passata, //c.95r// et che a lui era parsa, se ben un poco sbattuta, non di meno in miglior esser che hieri et veder sopra tutto che l’aiuta il farsi di buone gambe. Dopo questo su le 19 hore mi fa dir il medico d’Urbino haver ritratto stamane nella visita di Sua Santità che, sendo ella andata a dormir hiersera su le due hore, dormì quietissimamente fino alle iiii di poi travagliò, come ho detto di sopra, assai leggiermente; che fino alle 16 hore di stamane haveva orinato otto volte assai bene et sempre levandosi di letto; che nel fondo dell’orinale trovava la medesima marcia detta di sopra; che li pareva trovarle qualche alteratione di febre, se ben non se ne risolveva; et che l’orine anco mostravano da hieri in qua un non so che, ond’egli né ritrattava l’opinione d’haver il papa per sicuro, come haveva detto, né l’affermava o ne stava sicuro come prima.

Piaccia a Dio che non segua peggio.

Stando Sua Santità questi dì passati inresoluta di chi far vescovo di Carpentras et a buon proposito mostrandomi questa sua inresolutione, volse che io tentassi il vescovo di Chiusi. Lo feci et egli, mostrandosi pronto d’obedire a ogni cenno, disse però molte cose, per le quali più volentieri se ne staria a Chiusi con quel poco, //c.95v// che col più a Carpentras. Il che referendo io a Sua Santità nel camerino mentre dalla cappella se ne tornava in camera, ella mi disse che accettarebbe egli più volentieri o questo vescovado, o d’andar nuntio in Francia! Io le risposi subito che del vescovado faria quanto ella comandasse, ma che mi prometteno che in Francia andaria più volentieri. Replicò che veg lo voleva mandare et che lo risolverebbe con me la prima volta che io andassi da lei. Saria questo seguito sin qui se la non si fusse ammalata et seguirà subito che stia meglio, massime nel ritorno d’Alessandrino, il quale io spignerò non ostante i favori che il nuntio di Francia habbia procurato per mantenersi.

Dall’incluso memoriale, datomi et raccomandatomi dalla Signora donna Jeronima Colonna, vedrà Vostra Altezza quanto desideri un Cesare de Sangre. Se la risolve di consolarlo, come io la ne prego, sarà servita darne oportuno ordine et rispondermi della sua volontà.

Seben io taccio quel che si fa in questi sospetti della malatia del papa, non creda però Vostra Altezza che io dorma et non vegli i fatti nostri et quelli d’altri.

a Et aggiunto in interlinea superiore.
b Et in un primo tempo seguito da il, poi cassato.
c Un aggiunto in interlinea superiore.
d (Se potrà) aggiunto in interlinea superiore.
e Che in un primo tempo seguito da questo, poi cassato.
f Forse aggiunto in interlinea superiore.
g Ve aggiunto in interlinea superiore.