Il cardinal Ferdinando al principe Francesco

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Roma, 25 aprile 1572

Med. 5087, n. 60 (cc. 152r-154r).

Havendo scritto più volte questi dì passati a Vostre Altezze delle cose di qua non ho che dirle hora se non progressi communi dell’essere di Sua Santità. La notte che seguì alla visita delle Sette Chiese si potette metter fra l’altre cattive, sendosi aggiunto alla inquetudine ordinaria una certa asma et un certo lagnarsi che (seguitando ancora come fanno nel sonno e nella vigilia) mostrano fiaccheza estraordinaria, la quale ratificano il volto et l’andare, poiché la sua estenuatione è incredibile et in caminando non recusa più l’aiuto, come apparve hieri, che pur contra la voglia d’ognuno volse andare un’hora et mezo per Belvedere. Alessandrino pur hieri mi disse tener per fermo che la non sia per passar maggio o il principio di giugno; che la non vuol volgersi a negotio alcuno che ricerchi punto di speculatione; et che, se ben alcuno gli se ne proponga, gli si smaltisca et dichiari, non però risponde parola, come quella che o non intende più o conosce qualche sua presente inhabilità et, sperando presta salute, fra tanto non si fida, come par che possa in un certo modo conietturarsi, poi che segna et spedisce qualche cosetta col datario. Due dì sono havendo preso il pesto in un poca più quantità //c.152v// del solito lo rese subito. Sonovi altri accidenti, i quali tutti mostrano che si camina al fine, se ben lei crede altrimenti.

Alessandrino lesse la lettera del granduca con molta consolatione della paterna amorevoleza che li mostrava, dicendo in somma non essere necessario affaticarsi in questo, poiché già era resoluto di credere che un solo dovesse esser il fine et servitio suo col nostro in tutte le occasioni, come conosceremo, et penso che l’harà ringratiata anco di consigli et offerte, le quali certamente sono state a proposito per consolarlo nell’afflitione et confermarlo nella buona mente sua.

Messer Ottavio Vestrio ha dato conto qua del ritratto suo in tre lunghe audienze et si vede che s’è portato da buon negotiante et dottore poiché, se ben non ha profittato quanto si voleva, ha però molto bene battuto et confuso quel duca, il quale dice che si scuoteva, né haria voluto cedere, sempre dicendo che non Sua Santità per sé ma l’instanza della parte faceva farli questi offitii, ma che voleva tempo di far sapere commodamente a Sua Beatitudine come et per quali ragioni gli si faceva torto a proibirli di proseguire le sue ragioni, perché sperava trovarla d’altro animo quando //c.153r// egli fusse ben ascoltato da lei. Ma il Vestrio li mostrò che era in errore, poiché Sua Altezza non haveva chiesto al papa questo remedio, ma sì bene la sententia, sendo la causa instrutta qua et si doleva che gliene mancasse, ond’ella, per non impedir le cose publiche, s’era resoluta a pigliar questo espediente; che finalmente Sua Eccellenza, mossa dalle parole sue et forse più da quelle da Gorone scrittegli, mostrò che si saria resoluta alla dilatione se gli fusse pur dichiarato qualche termine; ma parerli strano rimettersi al beneplacito del papa. Et dicendo il Vestrio di non haver altro ordine che dichiararle questo et persuadendolo a mostrarsi ossequente, il duca restò che poteva ordinare all’ambasciatore et procuratore suo in corte cesarea che, al termine prefisso, si fingesse malato et non comparisse a far altra instanza. Questo in sustanza m’ha riportato il Camaiano che, col cardinale Chiesa, ha visto le lettere del Vestrio, il quale di Bologna (donde forse harà dato largo conto della sua negotiatione a Vostra Altezza) scrive che se n’andarebbe a rivedere le cose sue d’Imola et là si tratterrebbe aspettando risposta. Se qua si potrà haver copia del papa, gli sarà communicato il tutto et vedrassi di cavarne quelli duoi brevi che il //c.153v// Vestrio chiese alla sua partita, a che il cardinale Chiesa si mostra tanto inclinato che, se potrà parlare a Sua Santità o farli penetrar et capir il suo parere, forse s’haranno facilmente. Intanto mostrando il corso de negotii che al medesimo cardinale Chiesa bisognava arrivare per la resolutione dell’altro breve etc., ci risolvemmo, il Camaiano et io, che con lui si scoprisse questo pensiero con quel di più che s’era fatto sin qui. Lo sentì volentieri, lo gustò et restò capace del frutto, promettendo d’aiutarlo subito che si potesse come dirà più largamente il Camaiano, il quale prese anco prima da lui giuramento per parte di Sua Santità di mai non parlarne in vita sua. Piaccia a Dio che Sua Beatitudine torni in stato che possiamo concludere queste due cose, come si desidera.

Per il fratello di Salazar farò molto volentieri ogni offitio quando Sua Santità si trovarà in miglior essere, per servir a Vostra Altezza et per gratificare a lui et a Mondragone, come desidero et debbo per tanti respetti.

Et con questo fine gli bacio la mano.

Di Roma li 25 d’aprile 1572.

[Post scritto] Dicemi Pacecco che l’ambasciatore di Spagna verrà a parlarmi, mostrandomi che sarebbe molto servitio del suo re che le x galere (poiché non sono l’altre a Livorno) //c.154r// quanto prima s’inviassero con le galeaze, desideratissime sopra tutto, et pregandomi a farne opera con Vostre Altezze. Mostra desiderarlo perché dia noia alle cose della Lega il vedere temporeggiare con le galere la persona anco del signor Marcantonio, il quale del suo tardare non dà altra cagione che la tardità d’esse. Et questa nella congiuntura del male di Sua Santità vedesi che è mal interpretata da costoro.

Se verrà, io li risponderò convenientemente et in tanto ho voluto che lo sappino per ogni respetto. Questa sera è arrivato il duca di Seminara, al quale io farò honore et careze acciò se ne vada sodisfatto, come viene di Fiorenza in questa parte.