Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, a Firenze [1]
Roma, [9] agosto 1586
Med. 5092, n° 143 (cc. 383r-386r), firma autografa
//c. 383r//
Prudentemente discorre Vostra Altezza sopra il modo di trattare con Sua Santità et io bene sono andato alla mira medesima con maniera però honorevole, et non credo haver da pentirmi, poiché sempre più la scopro dentro a termini, che la posi col parlare mio o la trovai. Et pur hieri facendole al solito domandare audienza per domane, ella fuor del solito mi fece risponder, ch’andassi a posta mia domane, et sempre, perché non ero di quelli, che havessero andare per le vie solite, poiché mi amava, stimava et che all’occasioni era per mostrarlo, et tutto questo mi venne in una poliza etc. talché stiamo bene. Io nel resto vo continuando di sentire quelli suoi, ma lasso fare a modo loro, quando per una ho fatto ricordare al mio architetto (il qual solo gl’ho lassato per aiuto, et instruttione loro) quel che pare servitio dell’opera, et seguono degl’errori, quali però non dovranno importare se non più spesa nel rifare le cose, ch’essi non intendono.
Hanno cresciuto prezi delli appalti, et gettono largamente, il ch’alla (sic) revisione de conti, et riscontro delle misure, lodarà il vantaggio et l’opera nostra. Et sopra l’ordinare questo nuovo maneggio, ho voluto una cedola del papa, che mi liberi dal obligo di renderne mai conto, et così treschino a modo loro. Ne’ condotti sotterranei vogliono incollare solo per l’alteza dell’acqua per spesa minore, et per //c. 383v// più brevità, et gli s’è detto, che l’humidità guastarà presto l’opera, et essi pur seguitano, forse per così aprirsi la via a far quel muro che dissi, et vantaggiarsi con esso. Ne’ conti sin’hora hanno dubitato di due partite, una di 300 et l’altra di quattro scudi, ma sono poi restati capaci, et presto dovrà venirsi alle misure. Hanno posto (contra li ricordi dati da chi sa livellare) certa acquaccia nel condotto la quale rimasta fra l’inequalità d’esso, s’è putrefatta, et amalati et ammazati molti, poiché pur vogliono lavorarvi così contra tempo.
Et io harò caro che sollecitino, perché così si sollecita la misura, et alla stima dell’opera prima farà buon gioco la spesa di questa loro, ma non più di questo.
All’Oliva [1] detti conto di quel particolare il quale l’interpretò come Vostra Altezza harà inteso per le precedenti. Martedì fui all’audienza, nella quale trovai Sua Santità per l’ultime lettere del nuntio di Spagna [2], tutta pensosa, dandoli il Re malato, con segni di breve vita, onde varie cose l’andavano per la testa, sopra le quali s’estese con me lungamente et furno però poco più che quelle communi considerationi, che a Vostra Altezza sovverranno facilmente ma più gravi quanto pare il male più imminente. Delli ambasciatori cesarei [3] non parlai, perché non ero //c. 384r// ragguagliato da loro della risposta di Sua Santità la quale venne poi il Curtio [4] a communicarmi. Et è in somma, che con Sua Santità trattorno nel modo convenuto fra noi, dal quale ella presa, mostrò d’havere per buono il temperamento del commissario Strasoldo [5] per ricevere il Borgo, et volse tempo xv dì a risponderli, i quali per quel che andorno cavando dal progresso del ragionamento pensano, ch’ella habbia voluti, per significare la cosa al Duca [6] et vedere che si contenti amorevolmente poi che ragionando non continuatamente ma così alla spezata, mostrò che Farnesi dovriano accettarlo, et alquanto più chiaramente accennò che recusando ella lassaria liberamente sentenziare dall’Imperatore [7] et aiutaria poi la esecutione, se bisognasse, talché essi restano contenti aspettando questo tempo, mentre anco passano li caldi, et sono in molta speranza, che sia per darli la risposta scritta, conforme all’instanza che per buoni ricordi sono per fare. Farnese [8] sta malato, et non senza timore de suoi. Qua è corso Paolo Sforza [9], credo per un mandato di 60 mila scudi spedito contra di loro dalla fabrica di San Pietro, il quale non potrà costarli se non molto caro. Et Farnese in congregatione pare che parlasse in modo, che gl’altri ne presero animo d’accelerare la cosa a rigore, et alla compositione staranno //c. 384v// duri. E’ questo l’intrigo, per il quale si roppero Farnese, et Sforza il morto [10]. Che è per fine col quale a Vostra Altezza bacio la mano.
Di Roma li viij d’Agosto M.D.LXXXVJ.
poscritto Hieri scrissi fin qui. Ho di poi rivisti gl’ambasciatori cesarei i quali quanto si sodisfacevano, altrettanto restano confusi, et desperati, perché San Marcello [11], et Madruccio [12] furno giovedì mandati da Sua Santità a dirli per risposta più ferma, che Sua Santità non sendo a suo modo informata et resoluta della giustitia di questa causa, stima non dovere altrimenti comandare al Duca, che relassi il Borgo, o lo depositi, né rimetter all’Imperatore il sententiarci o prometterli altro, ma che lassarà correre, et non se n’impaccerà, sapendo, che Sua Maestà è prudente. Etc. Et che in questo tenore li darà breve di risposta.
Risolvonsi di pigliare un’audienza, protestando d’ogni disordine a Sua Santità etc., et andarsene in Germania. Haveano animo di chiedere le galere a Vostra Altezza per passare da Civitavecchia a Genova, ma io gl’ho detto che sono fuore, et perciò non potranno accomodarsene. Ero per parlare a Sua Santità a fine di confirmarlo nella prima determinatione, ma è convenuto ch’io parli d’altra maniera //c. 385r// et però tenutone prima proposito con Olivares [13], mi mostrò dispiacere di questa mala sodisfattione, et lodò ch’io facessi offitio con Sua Santità affinché desse risposta più conforme alla prima ond’hoggi le ho parlato.
Et perché so, che sendo stato osservato ogni andamento delli ambasciatori di ordine d’Azolino [14], che in ciò ha fatto quanto haria fatto Farnese proprio, è stato anco detto quante volte habbino parlato meco, io le ho detto dal principio della venuta ogni particolare sinceramente ricordandole la devotione, et merito dell’Imperatore, et pregandola di rimandarli consolati del dovere. Sua Santità m’ha replicato insomma che di quattro cose domandate glie nea dà le tre, poiché revoca il decreto di Gregorio [15] si spoglia del giuditio, et non se n’impaccerà ma non vuol comandare che relassi, perché se non obedisse non si vuol mettere in necessità di venire alla forza, la quale però non impedirà a loro; et veramente mi pare ch’alla fine ella faccia assai. Et havendolo referto stasera al Curtio, egli è restato di non cercare altro se Sua Santità fa questo, et se particolarmente si spoglia del giuditio, et ne scrive breve, perché il resto faranno loro.
Hoggi mi fece intendere Azolino, ch’ il papa era di parere, ch’allab //c. 385v// signora Hippolita Rossa [16], si desse quello che se li doveva, da viversene a casa sua, si ponesse Lionello in mano della zia, si facesse venire Ridolfo [17] a Roma, et Sua Santità ponessi gl’offitiali a governare quello Stato, ma che voleva saperne il parere mio. Gli risposi che la protettione di quella casa era raccomandata a Vostra Altezza et che perciò io non darei risposta senza lei, ma gliene scriverei per rispondere poi quello che m’ordinasse. Non ho già lassato di parlarne a Sua Santità con mostrarle, che non sapevo vedere con qual errore quella signora s’havesse meritato d’essere privata della tutela et della cura del figliolo minore, che ella desiderava con sé, poiché altro non haveva fatto, che esequire l’ordine di Sua Santità andandosene a quella volta, dove non debbe parere poco, che sopra tante straneze, ella resti con uno schiaffo datoli da quello Abbate [18] senza vedersene dimostratione alcuna di giustitia, et che di Ridolfo, se non vuole stare con lei, faccisene ciò che piace, se ben qua verrà per rovinarsi a fatto, ma quell’altro non se gli può levare di ragione, come né anco l’administratione se la non renuntia. Il che mi pare intendere che non vuol fare se prima non vi sia risposta come il dover vuole. Sua Santità mostrò d’havere //c. 386r// havuto caro quanto li dissi, et la risolutione fu che s’aspettaria la risposta di Vostra Altezza et poi anco si vorrà relatione del legato Pinello [19].
Dell’acqua non ho parlato aspettando, che sia fatta la relatione de conti, i quali pare che rispondino benissimo riscontrati con le ricevute di lavoranti et della calce, et nel resto dovrà essere quanto ho detto. Quella poliza de 60 mila ritraggo haverla scritta quel vescovo di Marsi [20], che ingeritocisi nel principio, dopo che hebbe fatto li contratti si roppe con l’Architetto Matteo da Castello, et così venuto in fastidio al papa, convenne levarlo, onde ha poi eccitata questa tempesta, che pur spero li ritornarà addosso, et che Azolino portatore della poliza et forse fautore sotto mano, si vergognarà della difesa.
Il quale Azolino si porta in modo, che non si può dire peggio imbriacato da Farnese, Savello [21], et Aragona [22], ma io vo cheto dissimulando, et crederò levarmi le mosche d’attorno, et Vostra Altezza sarà avvisata quando harò che dirle. Etc.