Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, a Firenze [1]
Roma, 22 settembre 1586
Med. 5092, n° 151 (c. 398r), firma autografa
//c. 398r//
Il male del cardinale di Cesi [1] era a termine, che hieri, et stamane lo tenemmo per spedito non arrivandolo i remedii ordinarjj quantunche diligenti, per refrenare quel flusso, che lo consumava, et gli levava l’appetito. Fu proposto una strettoia alli polsi delle braccia, che in otto hore lo fermerebbe, et dell’effetto posso dire, che egli hoggi è stato quattro hore senza andare, ancora che se ne sentisse stimolato da’ soliti premiti, et ha preso un buon pesto, et pan lavato, col quale dormiva hoggi che fui a casa sua, et dico a casa sua, perché l’accostarsi a lui gli noce, poiché in vedere gl’amici si poneva a piangere, onde ogn’uno se ne asteneva, et hieri se ne trovò pentito Alessandrino [2]. Hoggi mi mandò a chiamare per la cagione, che dirò, et havendolo trovato, come dico, parve che portasse dilatione. Sua Santità ha mostrato sin con le lacrime più volte sentire la perdita sua, et lodatomi teneramente che mi portassi sì bene seco in questo termine, et Montalto [3] ha usato mandare spesso da me per haverne novelle, la qual tenereza sendomi venuto in mente per buona congiuntura di caparrare il cappello per il vescovo di Todi [4], volevo hoggi se il mal seguitava, andarmene dal papa immediatamente partendo da Cesi, et potere dire, che egli m’havesse chiamato, et incaricato di domandare questa gratia a Sua Santità con la quale ella potria farlone andare tutto consolato. Non è occorso come dico, ma se il male tornasse a mal camino, si farà il medesimo et nona havendo altro che dire a Vostra Altezza le bacio la mano.
Di Roma li xxij di settembre M.D.LXXXVJ.