Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, a Firenze [1]
Roma, 28 marzo 1587
Med. 5092, n° 191 (cc. 490r-491r), firma autografa
//c. 490r//
Era così buona la ragione per la quale Vostra Altezza non concorreva nella erettione di quel Monte, che non doveva trovare dubio con alcuno, et se fusse vera in fatto mi harebbe quietato subito tanto più, quanto più spero nel buono et presto successo del fidecommisso, ma ella ha da sapere, che li beni che si recuperariano, sono beni dello Stato dell’Anguillara libero, et alienati per cagione di dote, et per altri debiti, et che di più recuperandosi, saranno a più libera dispositione del signor Virginio [1], poiché come recuperati da lui, non vi potranno havere regresso, o attione alcuna li creditori, che per la dichiaratione del fidecommisso restano con le cose loro in aria. Tutto s’era pensato et visto bene prima che io scrivessi, et non lo scrissi, potendo presuporre che s’intendesse, che non si trattasse di recuperare così a contanti li beni che pretendiamo, et speriamo senz’altro; talché calculati li prezi del frutto alli fitti correnti, può dirsi che non si tratti altro in somma che di ridurre gl’interessi di dodici, a sei in circa, et liberare quelli luoghi dalla rovina, et li vassalli da pessimi trattamenti, et così guadagnare in più modi. Il signor Paolo [2] non haveva maggior voglia di questa, che //c. 490v// non se la potette cavare con tante sue spese, et verria hora fatta al signor Virginio che non se ne avvederebbe, mentre se ne sta così avanzando con la parsimonia.
Vostra Altezza sentirà dal Gerino [3] quanto hieri passasse Nostro Signore con esso nel proposito medesimo di quelli banditi di Romagna. Ella riprese sì prudentemente li dì passati quella scappata di Sua Santità, attribuendola più a natura, che a volontà, come credo che fusse veramente, che l’udire hora li preghi suoi, et sforzarsi di consolarla mentre usa quella maniera che conviene in ricercarle il servitio, par che saria una continuatione delli suoi concetti, et cosa insomma degna di lei. La quale dovendo per se stessa scacciare li tristi delli suoi stati, et quelli particolarmente, che per fattioni, o per altro non ha da volere che vi si avvezino, non debbe credere che il farlo hora le sia attribuito a terrore dalle bravate del papa, ma a cura della salute de suoi et della sua riputatione, ond’io come non so se non desiderarlo per questo //c. 491r// a et anco per rindolcire quest’homo (che alla fine havendolo noi voluto, conviene che ce lo teniamo come è) così non so se non ricordarlo, et anco pregarne Vostra Altezza, se bene con me Sua Santità non n’ha fatto parola, et le bacio la mano.
Di Roma li xxviij di marzo M.D.LXXXVIJ.