Il cardinale Ferdinando al granduca Cosimo I [1]
Roma, 1 aprile 1570
Med. 5085, [già num. 110], cc. 213r-214ra.
Io scrissi con l’ultima mia assai estesamente a Vostra Altezza intorno all’indispositione di Sua Santità quanto era passato fino all’hora, né di poi le ho replicato altro perché ella è sempre andata continuando nel suo buon stato, nel quale ancora si trova, né è così renitente ai consigli amorevoli che non si sia lassata persuadere di astenersi dalle fatiche non necessarie delle Cappelle passate et non sia per accettarne altri pur utili alla giornata, i quali ella ha usato fin qui di ributtare constantemente. Sia di tutto lodato Iddio.
Par che sia arrivato qua quel Mannello fiorentino mandato dalla regina di Francia il quale, dando altro pretesto alla venuta sua, sospettano, anzi affermano questi ministri di Loreno dover usare questa occasione quanto potrà a danno di loro e di tutti i suoi p[arenti], cioè di quella casa, et nuocere anco all’ambasciatore residente qui, servendosi del consiglio di Ferrara, malissimo sodisfatto di tutti. Qualunche cosa sia di questo, havendo io inteso che sia per destar et intrigare le pretensioni che ha quella regina sopra le cose di qua et di Fiorenza et in tanto fare di quelli offitii che dovemo noi aspettar da cotal sorte d’homini, ho conferito tutto con Alessandrino acciò con buona occasione, come m’ha promesso di fare, preoccupi et prep[ari] le orecchie di Sua Santità contra l’arti di costui. Et Vostra Altezza ho voluto avvertirne acciò comandi se alcuna cosa vorrà ch’io faccia //c.213v.// più particolarmente intorno a ciò perch’io, se ben dal Musotto, agente di Loreno, che mi parla anco in nome dell’ambasciatore di Francia, sono avvertito di ciò et pregato a fare offittio io stesso con Sua Santità per levare credito a questo homo, non di meno non passarei più oltre senza espresso ordine di Vostra Altezza, alla quale mando copia di certa scrittura datami dalli suddetti sopra di ciò, non perch’io stimi d’havervi trovato molto di nuovo et non conosca l’arte, ma perché mi par di doverle significare qualunche cosa mi sia referta in certa sorte di negotii, dicendole che li medesimi veglieranno et m’avviseranno de lo che succede di mano in mano et che, risolvendosi ella ch’io ne tenga proposito col papa, potrò farlo drittamente aprendo il fatto, o facendo caderlo in proposito, come più piacerà a Vostra Altezzab.
Io ho sempre desiderato di ritornare le robe et la famiglia mia nella casa che tenevo già di via Larga, spingendomi una certa sodisfattione, di che io mi sento privo et sentirò finché non ve n’havendo io altro mi convenga tenerli per le case altrui. Però persuadendomi la morte del Baroncello che Vostra Altezza non la destini per il medesimo suo servitio, la supplico con ogni affetto che si contenti restituirmi al medesimo favore ch’io havevo di goderla, certificandola che non potria farmi per //c.214r.// molti respetti cosa più grata. Et con questo fine resto pregandole continua prosperità.
Di Roma il primo d’aprile 1570c.
[Post scritto] Supplico Vostra Altezza a tener memoria del bisogno mio di ridurre questa casa a miglior forma et darvi ordine tale che mi mostri la speranza che ho d’havere di questa commodità. Ella ha visto il sito et l’Ammannato quasi sa la spesa che ricerchi la compra di quelle casette comprese nel disegno che anco a lei piacque. Non sarà stimato da me poco principio che Vostra Altezza o mandi qua alcuno per ciò o ordini a me di procurare questa compra con assegnamento certo del pagamento, et fra tanto comandi che si faccia il disegno per metterlo poi ad effetto, quando et come ella sarà servita di farlo. Questo mi sarà di gratia singolarissima come le può persuadere il commodo che me ne risultaria così necessario et non solo utile et honorevoled.
a Ad inizio lettera vi è un’annotazione di Cosimo I: “Intanto cercar le nostre ragioni e quel s’habbia a risponder in causa ereditatis di casa de Medici [...] che le sorelle di Lione papa cianno assai ragioni che non saria mal ritrovo il ridurle in una mano cioè (?) nella nostra che saria facile perché [...] in messer Alamanno Salviati nel vescovo (?) in Lorenzo Ridolfi e nel principe di Massa e intanto cominciar a studiar le nostre (?) note carte. A messer Lelio”.
b Annotazione di Cosimo I: “Quanto alla venuta del Mannelli disegna Sua Santità correre le cose di iustitia ma che disse [...] potria sol dire le nostre ragioni perché del resto ci rimettiamo sempre alla gratia che quanto ag’altri dissi [ciò] che [...] Sua Santità li cognioscerà che son tutte trame ordite nella istessa corte”.
c Annotazione di Cosimo I di difficile lettura, ripresa a piè di pagina: “La casa è nostra e l’habbiamo lasciata a don Pietro per non haver dove stare ma che in vita nostra il cardinal se ne potrà servire ma è vero che la condussono in modo li sua creati che tra la vecchiaia e il malgoverno era ridotta in total ruina e la casa del canto dove sta donna Isabella è di Sua Signoria Illustrissima se già ora con nuovi moti del Mannelli e di Farnese non cercassino [...] ha fatto iustitia come [...] da Sua Santità. Vedremo tutto e sempre terremo conto delle cose vostre quanto voi stesso e più. [Questo] de’ rescritti risponda al cardinale”.
d Annotazione di Cosimo I: “Al principe mostrisi e la lettera di advisi e solo se li ricordi l’attendere alle faccende che come vede qui solo in congiuntioni e malignità le quali con la gratia di Dio e con non dormir li sonni sempre ci anno fatto più grande perché chi fa bene a bene el dir d’altrui non nuoce se altri o per straccurataggine o per malitia non si fa il male perché Dio non può far male e non lo fa a chi non lo fa [però] fede in lui iustitia a populi et [non] mancar a se stesso”.