Il cardinal Ferdinando al principe Francesco [1]
Roma, 9 giugno 1570
Med. 5085, [già num. 147], cc. 297r-298r.
Al cardinale Lomellino feci vedere quanto Vostra Eccellenza riscrisse sopra il luogo di Sapienza desiderato da lui et mostrò che, come non vorrà mai da lei se non quel che convenga alli respetti del servitio suo, così restarebbe sempre sodisfatto della sua volontà, come restava in questa parte, sendo la repulsa cortese et offitiosa conforme all’animo di Vostra Eccellenza verso di lui.
Se ben non so così particolarmente quel che habbia detto il cardinale di Monte, voglio però credere di lui quel che Vostra Eccellenza mi accenna. Tuttavia, per notitia sua et di Sua Altezza, mando con questa la lettera che egli mi scrisse in conformità di quel che in voce mi espose un suo con affetto anco maggiore, acciò che esse vedano se io harei per una volta potuto negare senza molta nota quel che col parere di Pacecco gli concessi con dimostrationi di amorevolissima volontà verso di lui. Si trova in stato di tanta afflittione che non sia per ciò gran maraviglia che non usi tutta la diligenza in pesare le parole sue. Ma se di nuovo tornasse, //c.297v.// io non darò già via li danari di Vostra Eccellenza senza la partecipatione et consenso suo. Secondo che l’ambasciatore mi mostrarà esser necessario così m’adoprarò nelle occorrenze di pondo, dovendo io l’opera mia al servitio et a la sodisfattione di Vostra Eccellenza sopra tutte le cose.
Dal Granduca nostro padre hebbi risposta sopra il negotio mio et tanto amorevole et liberale che ben conosco essere stato ricevuto, per calda raccomandatione di Vostra Eccellenza, l’atto che ella usò di mandargli per giovarmi la lettera ch’io glie ne scrivevo. Onde la ne ringratio infinitamente et, come ella ricorda essere necessario respetto al moto di Sua Altezza, un’altra volta le darò ragguaglio particolare delle cose acciò che ella sappia le mie et le altre tutte, come è stato et sarà sempre intentione mia, et possa, conforme all’animo suo cortese, adoperarsi secondo il bisogno a mio benefitio. Intanto le mando copia di quel ch’io scrissi allhora, se per sorte le restasse anco celato. Et per la cagione medesima di sua notitia, ho voluto che ella //c.298r.// veda quel che è successo di poi et a che termine si trovi il negotio acciò conosca quanto può ancor venir dalla sua amorevolezza, che sarà con l’altra copia della lettera che hora scrivo a Sua Altezza di mio pugno.
Appiccò stamane Farnese in consistor[io] un ragionamento con Sua Santità alla sedia sopra le cose delli allumi, tirandolo in modo che dovesse nascerne col fatto suo qualche risentimento col cardinale Grassi et col Camaiano. Ma Sua Beatitudine, chiamati et uditi quivi ambedue, rabbuffò poi, omnibus audientibus, Farnese solo con parole mordaci et con altri segni di molta escandescenza, minacciando che poco bisognarebbe a far che ella lo astrignesse a rimettere su tutto il frutto passato, onde egli si avviluppò et si doleva poi con gl’altri grandemente. Che è quanto il consistorio havesse di notabile et quanto mi occorre per questa, col fine della quale a Vostra Eccellenza baso la mano.
Di Roma li ixa di giugno 1570.
a L’annotazione della segreteria riporta la data 11 giugno ms. c. 297r., margine superiore.