Il cardinal Ferdinando al principe Francesco [1]
Roma, 5 febbraio 1571
Med. 5085, [già num. 165], cc. 333r.-334v.
Sono molti giorni che io non tengo le lettere da Vostra Altezza né per risposta delle mie, né per altro, et che anco, mancandomi ogni suggetto, non l’ho noiata con vana carta. Farammi hora rompere il silentio questa andata del vescovo Salviati in Francia della quale, se ben si son fatti molti commenti, saprà però Vostra Altezza altra non essere la cagione che la prigionia del conte di Gaiazo, la quale da quelle Maestà è stata sentita così gravemente che, dubitandosi qua, per l’età del re retta dalla autorità di seditiosi et interessati, di qualche gran risentimento che fusse origine di maggiori disordini, ha giudicato Sua Santità espediente di prevenire col darne tal ragguaglio et giustificatione a loro Maestà che si plachi l’animo loro alteratissimo per questo accidente, et si prepari a non accettare i consigli sinistri di quelli che si vedono poco zelanti all’honor di Dio et molto desiderosi di trasportarlo con impeto franzese a qualche aggravio di Sua Santità et, non senza danno di lui, aprir la via a nuovi travagli. Questo è il negotio suo del quale egli bene vede le difficultà, ma spera di potere rispondere alla //c.333v.// grande opinione che Sua Santità ha di lui, massimamente se dall’Altezze Vostre verrà aiutato di consiglio et favore come li promette et la causa si può dire publica et la sua particolare devotione verso di loro, della quale io gli fo fede che debbono far conto sì perché è homo di buona mente, et lontano d’ogni capriccio fastidioso, oltra che da quello che Sua Beatitudine in questa occasione ha predicato di lui si può credere che ella habbia grand’animo di tirarlo innanzi et che in breve sia per farlo, se questo negotio li succede felicemente come si spera. Di che ho voluto avvisar Vostra Altezza avanti la partita di lui, perché, dovendo egli far cotesta strada et passare anco a Pisa per communicar il tutto con lei et col gran duca et pigliar, come ho detto, il parere et aiuto loro, tanto più allegramente lo ricevano et lo favoriscano d’alloggiamento et altre dimostrationi.
La pratica, che io scrissi, della Tesoreria per lui s’è lassata, parendo scoperta altra via alla sua esaltatione, sì che non le bisognino //c.334r.// maggiori intrighi, ma bene si seguita destramente per amici, per i quali fo io tanto che mi conosceranno sempre autore amorevole delli effetti. Così sarò sempre intento al guadagno degl’homini di che s’ha bisogno maggiore.
Quale commessione porti il vescovo sopra le cose nostre, lo scrive il Camaiano. Questo solo soggiungo io che egli in questa occasione harà quella mira a esse che noi potessimo desiderar più amorevole. Resta che Sua Altezza, come è stata mezana sempre a conciliar et conservar la gratia di Sua Santità a franzesi, così hora pretessendo il medesimo all’opera sua, s’intrometta a fin che accettino in bene questa retentione come santa et giusta, che questo è l’aiuto che si desidera nel negotio del vescovo et che, inteso da Sua Beatitudine, le piacerà oltra modo.
Oltra la lettera che questi dì passati scrisse il Re Christianissimo a Sua Santità minacciando che si risentirebbe gagliardamente per cagione del conte suddetto, hoggi è venuto un gentilhomo di Sua Maestà, il quale non si sa ancora se porti concetti più moderati o vero pieni del medesimo ardore //c.334v.//. Di quel che se ne intenderà sarà avvisata Vostra Altezza, nella cui buona gratia fra tanto mi raccomando con tutto l’animo.
Di Roma li v di febraro 1571.