Il cardinal Ferdinando al principe Francesco [1]
Roma, 20 febbraio 1571
Med. 5085, [già num. 170], cc. 348r-349v.
So i meriti del signor Ubertino con la casa nostra, ma per iscaldarmi a favor delle cose sue mi bastavano i cenni della volontà di Vostra Altezza, alla qualea dico in risposta che in tutto quel che mi sarà mostrato ch’io possa far per esse et che bisogni, il priore di loro harà prontissima l’opera mia. Il medesimo le dico nel particolare di Giovanpaolo Castelli, amando io lui et dovendolo a comandamenti di Vostra Altezza.
Presentai le lettere del gran duca et con Morone particolarmente mi estesi in mostrare la confidenza che s’haveva in lui più che in alcun altro et la volontà di servirlo in ogni maggiore occasione, secondo che mi fu ordinato. Dissemi che era obligato alla casa nostra et che non cessarebbe mai di fare ogni buono offitio in ogni occorrenza; che in questa era del medesimo parere che si mostrasse di stimarla et si facesse opera di ritornarla su la via del negotio; che intorno a ciò s’affaticherebbe con ogni studio et con l’ambasciatore qui, et con l’imperatore medesimo, concorrendo nel mio parere che un nuntio confidente //c.348v.// et di valore appresso Sua Maestà Cesarea fusse per portar molta facilità al negotio. Di poi fui a lungo con Rusticuccio, il quale trovai amorevolissimo in demostrationi et mi risolvo a credere che sia anco tale in effetti, vivendo congiuntissimo con Alessandrino sì che fra loro communichino confidentissimamente et senza alcuna apparenza, né forse esistenza d’emulatione. Con lui ragionai della pratica di Verallo et lo trovai volto a aiutare questa, come tutte le altre, che riguardino il servitio di casa nostra. Così tiraremo innanzi con buona speranza. Il maestro di camera ha cominciato a gettare qualche seme di mandar Grassi in Spagna et è d’opinione che, se il gran duca ne toccasse un motto a Sua Santità, facilmente si disporrebbe a questa resolutione che a questo cardinale saria accettissima et a noi di molto servitio. Dovrà Sua Altezza scrivere a Sua Beatitudine con l’occasione di questo motivo di Cesare et non meno per animarla che per pigliarci qualche sesto //c.349r.// consigliarsene seco et mettere più cose in consideratione, fra le quali col discorso potria far cader questa, tirandola in modo con la prudenza sua che più dal servitio di Sua Santità che dal suo proprio paresse mossa, a che questa Lega desiderata et aspettata da Sua Beatitudine daria buona occasione sendo egli molto atto alla conclusione et per la parte havuta nella pratica, et per essere servitore e creatura a lei, né diffidente all’altra parte. Sia detto ciò per zelo del servitio nostro, non per consigliar Vostre Altezze, le quali mi basta che vedino ch’io fo quel che posso et più farò, se più mi sia ordinato. Piacerà a Vostra Altezza farle commune questa mia, ch’io perciò lassarò di scriverle con questo corriere che il Camaiano spedisce.
Et con questo fine resto raccomandandomi nella sua buona gratia.
Di Roma li xx di febraro 1571.
[Postscritto] Scritto fin qui è comparso il corriere con la lettera di Sua Altezza per Nostro Signore inviatami dal Concino, la quale io detti subito né occorse altro perché, domandandomi //c.349v.// Sua Santità se io sapevo il contenuto, risposi quel che era vero et che mi fu ordinato. A questi gran motivi dell’imperatore davo ancor io quella interpretatione che da Vostra Altezza con la sua de 17. Ma non mi fermavo in essa perché mi pareva troppo gran salto per farsi senza fondamento. Ho piacere che sia così et si accrescerà, se verrà confermato dai successi. Procurai l’audienza per il Camaiano, il quale l’hebbe con ogni commodità et ritrasse quel che egli largamente farà intendere a Vostre Altezze.
Della salute del signor mio padre ho sentito con molto contento et desidero che gl’accidenti suoi portino sempre bene, come i medici gli pronosticano della gotta. Noi ancora di qua stiamo bene, ma ci andiamo consumando in questo carnevale con poco gusto.
a Segue quale ripetuto.