Il cardinal Ferdinando al principe Francesco [1]
Roma, 23 marzo 1571
Med. 5085, [già num. 183], cc. 371r-372v; 378r-379r.
Dal vescovo Salviati afferma il Musotto esserli stato scritto di Pisa che Sua Altezza si risolvea di revocare l’ambasciatore Petrucci, a che non pare contrario che lo effetto non sia seguito, come dice Vostra Altezza.
Venne la risposta di Venetia con la quale quelli signori mostrorono desiderare che si desse per il re la ciurma delle galere, alle quali egli era obbligato, l’assegnamento fermo et sicuro de denari et il giorno prefisso di comparire con esse galere. Al primo fu detto essere cosa impossibile, non havendo il re né luoghi, né ordinanze donde cavar remigi, come havea quel Senato, ma che supplirebbe con danari et concederebbe che ne soldassino da regni suoi quelli che volessino servire. Al secondo risposono che, trattandosi fra principia per causa commune et con amorevole unione, non parea che dovesse richiedersi sicurtà bancarie, ma contentarsi dell’assegnamento che gli si darebbe in Napoli da rispondere senza alcuna falta. Al terzo dissono che s’era mostrato desiderio di dichiarare nel capitolo del termine che xv o xx giorni più nel //c.371v.// comparir delle galere non fussino presi per inosservanza, atteso che delle cose del mare non si può promettere cosa certa. Parve a Sua Santità che questa sorte di difficultà, dette massimamente con tanta lungheza di parole con quanta quelli signori veneziani le scrivevano, fusse per dar tempo a qualche pratica loro più che altro. Tuttavia, come haveva confortato gl’ambasciatori veneziani, così confortò li spagnuoli a fare ogni buon opera per convenire et s’offerse per sicurtà del pagamento suddetto, ordinando che ciò fusse loro detto da Rusticuccio, il quale anco gli mostrasse che il volere le galere proviste di ciurma dal re era impossibile et che però doveano contentarsi di quel che s’offeriva intorno a ciò. Che il capitolo circa il termine non si toccasse ma restasse nella medesima prefissione di maggio, che di ciò si contentavano li spagnoli, sperando che come cedevano a questa limitatione, così non trovariano male interpretata la dilatione di qualche giorno, se venisse da causa che non fusse in poter loro. Furono poi ambedue le parti sopra queste cose //c.372r.// medesime con Sua Santità et con i cardinali della Lega, né fu resoluto altro, se non che li ambasciatori veneziani scriverebbono al Senato per havere la volontà loro, al quale effetto mandorono un corriere espresso. Et non dovranno mancare ogni hora nuovi capricci, se non si vorrà far da dovero.
Già havevo fatto qualche opera, secondo che havevo giudicato utile et ho poi visto desiderarsi da Vostra Altezza in materia de legati, et quell’amico spero che o non andrà, o non passarà Venetia. Sarò ragguagliato minutamente d’ogni pensiero in questa parte et parlarò anco a Nostro Signore per ritrarlo dallab resolutione di mandarlo altrovec, se il bisogno lo richiederà. Intanto ho visto con piacere quanto Vostra Altezza mi scrive et le scritture che mi manda, et non meno con esse et per mezo di com[...]d che con qualche altra arte per me stesso cercarò di purgare ogni mala sodisfattione.
Il cardinale Santa Croce referse a Nostro Signore quanto havea trattato con Pacecco et con me et la risposta nostra. Di questa Sua Santità restò sodisfatta et a lui disse che li //c.372v.// saria molto piaciuto che si fusse mandato un homo bene informato da trattar in voce et mostrare per via fuor della via di giuditio all’imperatore l’esentione et libertà di Fiorenza, tornando pure a replicare che li mandati, lettere et commessioni che portava stessero in modo che non si potesse dir mai che a Sua Maestà si fusse voluto rimettere il giuditio. Che questo ci dicesse in nome di Sua Santità et ci chiedesse le scritture che havevamo per vederle et dirvi sopra il parer suo. Di ciò dandomi conto lo ringratiai con mostrare seco ogni confidenza et gli risposi che qui non erano per ancora le scritture che Sua Santità voleva dire, ma che, come venissero, si faria quanto comandava Sua Beatitudine. Con la quale siamo poi stati Pacecco et io et, dissimulando il primo ragionamento che non ci era stato fatto in suo nome, passammo a parlar sopra quest’altro et nelle parole sue trovammo la volontà et avvertimenti medesimi dettici da Santa Croce in suo nome. Io, stimando passo considerabile il dare le //c.378r.// scritture nostre in mano d’alcuno, volsi meglio intendere se pur comandava che si dessino a Santa Croce et disse che gl’originali se li ritenesse Vostra Altezza senza mandarli attorno, ma che le copie haria caro si dessino a lui con commodità di vederle, per sua informatione. Et le risposi che così si farebbe subito che si havessino. Resta adunque che di costà venghino, importando anco il trattar il resto che occorre. Dichiarò Sua Santità muoversi a avvertirci delle cose suddette perché credeva, come è verisimile, che l’imperatore non voria sentir solamente la voce del mandato, ma lo rimetterà ad alcuno dei suoi che l’odano et referiscano, intorno a che le parea da darli il modo da tenere per fuggir la forma del giuditio. Hebbi il summario continente il parere di messer Lelio et poi anco gl’altri intorno alla causa della precedenza et a la delusione delli ferraresi o tristitia di questo fiscale. Del fiscale è Sua Santità, come dice il Camaiano, malissimo sodisfatta, ma non vuol già cimentare di nuovo la sua dignità et fare //c.378v.// far sua questa causa, con ponersi in manifesta necessità di rotture, come avverrebbe se vedessi disprezzati li suoi monitori, però accetta ogni altro modo che gli si proponga. Il che considerato tra noi et Pacecco, ci risolviamo che, non si rimovendo il papa di questa impressione, vano sia ogni sforzo et più tosto dannoso per il risico di fastidirlo, non mancando chi pinga in contrario. Ond’io non ho anco fatto altro, ma stimo buono aspettar le scritture di costà promesse et aspettate da Sua Beatitudine, la quale, quando da esse vedrà la nostra ragione, sarà forse più libera da sospetti, oltra che per mezo di Santa Croce potremo renderla persuasa che si voglia cosa ragionevole et utile alla conservatione dell’autorità di questa Sede. Questo par da far per hora, né da lassar fra tanto di mostrarle la summa di questi scritti, con pretesto di communicare et consigliarsi seco et per passar anco alla richiesta della cosa, secondo che si trovarà la dispositione. È tale la natura di Sua Santità che chi non la maneggia destramente et mostra volere più //c.379r.// di quel che la stimi appartenerglisi o poter concedere senza suo gran disservitio, come fin qui stima questo, si pregiudica più che non si giovi con lei. Però credo sia bene cercar di sgannarla et a ciò mi par a proposito il mandar le scritture. Con la prima occasione parlarò del desiderio di don Garzia et in modo che a Sua Santità non paia di offenderci negandolo, come sono quasi certificato che farà.
Con questa mando a Vostra Altezza il motu proprio della granducea datomi perciò da messer Cesare, che sapea desiderarsi da lei. Alla quale raccomando con ogni efficacia Francesco Giugni, fratello di messer Bartolomeo mio maestro di camera, per qualche offitio proportionato a lui, secondo che egli le supplicarà, certificandola che la non potria per hora beneficar altri con maggior soddisfattione et obligo mio. Che è per fine col quale mi raccomando nella sua buona gratia.
Di Roma li 23 di marzo 1571.
[Post scritto] Il Camaiano le scriverà a lungo sopra quel che ha trattato con Nostro Signore, ond’ella giudicarà meglio quel che bisogni et, se della resolutione sua saremo avvisati, haremo regola più certa per lo che resta.
a Segue et barrato.
b Su al espunto.
c Di mandarlo altrove interl. sup. con segno di richiamo.
d Lacuna per lacerazione della carta.