Il cardinal Ferdinando al principe Francesco [1]
Roma, 22 aprile 1571
Med. 5085, [già num. 187], cc. 390r-393v (390r-v, 393r-v, 391r-v, 392r-v).
Se vogliamo esaminare il proceder di Nostro Signore in queste differenze nostre con Ferrara secondo il proposito nostro solamente, io sento con Vostra Altezza che quanto è fatto possa esser stimato poco per molti respetti, se ben per altri ancora non paia così poco havendosi massimamente Sua Beatitudine dichiarato che, se l’imperatore o il duca di Ferrara persevereranno nelle leggerezze et contumacie et non useranno bene la sua moderatione, ella sarà per farne ogni sorte di risentimento più vivo et acre, con avvocatione della causa, con annullatione di sententie et con il resto dell’armi spirituali. Et non solo così, ma in ogni evento con le temporali ancora correre una medesima fortuna con noi, arrisicando lo Stato et ciò che ha, che in sustanza è quanto possiamo desiderare da lei.
Ma se vogliamo d’altra banda (che par quel che Vostra Altezza ha voluto inferire sempre proponendole lo stimolo dell’honore suo) considerare l’attioni di Sua Santità come in cosa vertente fra un principe supremo par suo et un suo fedautario non debole et pesare lo stato dell’uno et dell’altro et l’universale ancora, io credo che non debbab parere se non //c.390v.// prudentemente fatto che ella usi prima l’amorevolezza et la persuasione, poi ci mescoli comminationi et altri termini da render vano ogni acquisto d’altra banda, et nell’ultimo luogo serbi la forza, non sendo massimamente certa che la basti per ridurre le cose al desiderato segno et non potendo usarsi quella o altro duro rimedio, senza moto irreparabile di tutti gl’humori in un corpo sì facilmente alterabile, come hoggi si può dir il mondo, il quale non debbe stuzicarsi se non molto pensatamente, poiché non potria se non dare punture di dolore et danno a ognuno et a quelli particolarmente a quali più dolce debbe essere il godere in quiete le cose loro che, travagliando, ponersi in mano della fortuna. Ho voluto fare questo breve ragionamento con Vostra Altezza non come escusatore, mac se per sorte potesse operare che ella, che discretamente suole nell’altre cose far col conto suo, quello d’altri ancora, non si maravigli se non si corre subito agl’ultimi remedi, ma si contenti che lo sdegno di Sua Santità proceda pian piano et s’accenda da se stesso lentamente poiché può //c.393r.// essere certa che così alla fine sia per fare eruptione più impetuosa et progressi tanto più notabili, quanto più vedrà abusata la benignità et patienza sua et più giustificatamente potrà procedere dopo tante diligenze. Potria Sua Beatitudine dare segni talhora di maggiore esperienza nelle cose, ma io non saprei desiderarvi maggiore amorevoleza verso di noi, la quale è però bene d’andare conservando con altra arte che con stimoli et punture continue, che possino arguire in noi più passione et desiderio di vendetta et garbugli che altro, sendo ella assai più inclinata et assuefatta a abbracciare la humiliatione di chi l’offenda, che per essa accenderseli contra maggiormente, et in questo caso massimamente dove non mancano molti che le pongano timore di travagli, facendogliene conscienza et con questo et altri argumenti cercano ogn’hora di raffreddarla et rompere la constanza sua. Vorrei poter con qualsivoglia mio studio et fatica finire tutti li fastidi nostri, ma, vestendomi talvolta col pensiero la persona di Sua Santità, parmi che non //c.393v.// possiamo se non soddisfarci, havendone ogn’hora amorevoli effetti et caminandosi al medesimo fine nostro, se ben per via men breve. Et la esortatione, se sarà stimata a Ferrara per comandamento, farà quanto desideriamo; se non, sollecitarà Sua Santità a far pur quanto richiede l’honore suo, che è il medesimo col desiderio nostro suddetto. Né nego io che il procedere suo dolce possa esser per promessa fatta a ferraresi, ma dico questo non impedire che non possa essere deliberatione fatta prima in sé stessa prudentemente ilc provare di tirarli per questa via al suo giusto volere per render poi vana con gli effetti ogn’altra interpretatione, se gliene faranno forza con la disobbedienza.
Il Camaiano vedde la minuta per Germania et hebbe commodità di reformarla et ridurla a suo modo in tutte le parti che si potesse senza alterar la sustanza delle commessioni di Sua Beatitudine, come potea nel capo notato di Vostra Altezza il quale potette passar per inadvertenza, o forse per non sapersi le cose qua come costà, donde non sono mai venute in questo affare tutte le notitie //c.391r.// necessarie, se ben più volte si siano chieste, secondo che intendo; che se di alcune sustantiali è avvenuto per non far a proposito nostro quel che si havea, pur parea meglio aprir la cosa in qualche modo che, tacendo, tenere sospeso l’animo di chi negotia, con danno anzi che non.
Andai per communicar con Nostro Signore l’inserto di Germania il giorno medesimo che l’hebbi, ma la stracchezza sua per le Cappelle me ne tolse la commodità Et ragionandone con Alessandrino dopo l’espeditione del breve, mostrò ricordarsi che il nuntio havesse scritto nella sustanza medesima et volse ch’io lo lassassi a lui, che lod riscontrarebbe et mostrarebbe a Sua Santità, il che non credo habbia fatto ancora. Se non l’harà fatto hoggi, io me lo farò rendere per complir da me, mostrandole d’haver a trattar con Sua Beatitudine per simili occorrenze. Intanto ho fatto tentare l’ambasciatore cesareo da Santa Croce, che è domestichissimo suo di molti anni, pregandolo a scoprire se veramente ha ordine dall’imperatore d’udire pratica d’accordo, come havevo inteso per la corte, et come parea che sonassero parole sue dette in più luoghi. Perché, se fusse vero, io intraprenderei //c.391v.// la pratica in un modo; ma se si movesse da me senza il fondamento della commessione io procederei altrimenti. Egli negò d’havere tal hordine ma ghignando, et disse saper bene che, se si movesse pratica, piaceria all’imperatore et s’attenderebbe, né potetti cavarne altro. Si potrà fare tentare da Morone (sendo assente Amulio) et veder se può cavarsene più oltre per quella via, perché col papa non escirebbe; oltra che Sua Santità non lo ne ricercarebbe et, dovunche di ciò si parlerà, tacerassi il nome di Madruccio, come Vostra Altezza avvertisce et di quelli parenti suoi parimente. Alle buone parole di questo ambasciatore io non ho mai creduto, sapendo l’odio et la mala sodisfattione sua con Sua Altezza et in ciò mi conferma hora il sentire che egli con Massimo Grotto si sia gravemente doluto della morte del Transilvano, poi che è successa in tempo che Sua Maestà era per sbizzarrirsi et vendicarsi con Vostre Altezze, et non soloe volti i suoi pensieri in altra parte, ma la sforzi ad havere bisogno di loro et di Sua Beatitudine, chiamandole fortunati per ciò, et con dimostrationi di molto dolore, il che ho voluto che la sappia per ogni buono respetto, parendomi a proposito per notitia d’altre cose. //c.392r.// Simoncello ringratia Vostra Altezza della volontà amorevole verso di lui et non desidera vantaggio alcuno, ma solamente l’osservanza delli ordini del tribunale, ove pende la causa, intorno alla espeditione d’essa, la quale, se non havesse d’havere termine più certo di quel che basti all’avversario per produrre quel che gl’occorre per conservarsi il possesso, certo è che si potria dire infinita, come senza fine sono le cavillationi nelle liti. Pure speriamo che Vostra Altezza habbia a volere che espedisca et si levi il cardinale da questa spesa intolerabile a lui. Et io non posso non tornare a pregarlene, parendomi cosa giustissima et dovendosi mostrare agl’amici, che in minor conto non siano le cose loro che le altrui.
A Chiesa si diede la lettera di Vostra Altezza che ne prese molto contento et mostrò accendersi nella volontà avuta sempre di fare ogni migliore offitio, come havea fatto sin qui, nelle cose nostre. Con Santa Croce procederò in modo ch’egli stimarà ogni dì maggiore la confidenza con lui, avvertendo nel resto a quanto dissi; il che non creda Vostra Altezza che fusse detto con animo di governarmi //c.392v.// in maniera diversa da quella che prudentemente mi prescrive, perché se il papa si risolverà, vorrò che paia motivo suo.
Stimo servitio di Vostra Altezza il tenere protettione de figlioli de marchesi del Monte per quelli respetti che la può conoscere et, volendole non di meno restar obligato d’ogni amorevolezza che riceveranno da lei anche in gratia mia, le baso la mano d’avermene rimandato Pompeo così consolato, quanto mostra, con le parole sue. Attendo la risposta che promette al resto delle mie, et fra tanto con tutto l’animo mi raccomando nella sua buona gratia, pregandole ogni prosperità.
Di Roma li 22 d’aprile 1571.
[Post scritto] Comparse il corriere con la lettera del granduca la quale, secondo l’ordine datomi, communicai con Nostro Signore che udì tutto benignamente, et quanto passò et mi fu risposto scrivo io a Sua Altezza con lettera indirizzata al Concino che sarà con questa, con la quale iof espedisco indietro il medesimo corriere senza replicarne con Vostra Altezza perché tutto le dovrà esser comune.
a Debba corr. su possa.
b Non come escusatore, ma interl. sup. con segno di richiamo.
c Su di barrato.
d Segue m barrato.
e Non solo interl. sup.
f Segue rima barrato.