Il cardinal Ferdinando al principe Francesco [1]
Roma, 27 aprile 1571
Med. 5085, [già num. 190], cc. 400r-403v.
Ha nuova Alessandrino con lettere di Bologna che il breve fu inviato subito et presentato al duca di Ferrara, et mi farà sapere quando ci sia altro, come ha fatto intanto della risposta venuta a Gorone sopra le lettere che teneano sospesa l’espeditione del breve, ma non già del contenuto, il quale egli non sa, havendo Gorone detto a lui et a Rusticucci d’haver da rispondere a Sua Santità da solo a solo, et, se non potrà, con intervento loro. Ma vedendo egli forse vantaggio nel trattar fra sé et Sua Beatitudine sola, fuggirà, cred’io, la presentia loro. Vedrò di guastarli il disegno, ma, in ogni evento, il cardinale Chiesa par che l’habbia rimessa sul filo da non esser così facilmente girata, ma tenersi salda nella sua buona volontà.
Hieri fui a Palazo per trattare con Alessandrino il particolar del nuntio di Germania, ma stette tanto occupato in congregationi, che non mi restò luogo di parlarli se non al tardi, che egli venne a casa di Cesi, dove io l’aspettava et donde tutti insieme andammo a spasso. Pigliarò buona //c.400v.// occasione di far questa opera, né l’abandonerò sinch’io la veda a segno di nostra sodisfattione et a Vostra Altezza darò avviso di mano in mano, come la comanda. Trattarò, dico, sopra la provisione di nuovo nuntio, ma senza speranza d’ottenere per Verallo, per il quale farò poca instanza perché, havendo di lui parlato Cesi con Sua Santità quando dovea partir per la sua chiesa, secondo che mi disse li dì passati, pregandola a honorarlo di titolo di nuntio a Napoli o d’altra cosa, sì che paresse andare con buona gratia sua et non cacciato, ella negò di farlo, dicendo non voler dar da far il servitio suo a chi fa male il proprio. Da che parmi potersi giudicare che ad altro suggetto sia da volgere la mira. Trattarassi la mutatione et a questo ancora si pensarà fra tanto; che se Vostra Altezza havesse qualche particolare inclinatione può avvertirmene, perch’io m’affaticarò che habbia da restar consolata.
La mutatione del cardinale di Monte da Montecasino a Bergamo già //c.401r.// un pezo potette esser nota a Vostra Altezza. Egli sei dì fa passando qua vicino mi salutò con sua lettera, deplorando lo esilio et la sua misera conditione et pregandomi a far offitio con Nostro Signore a buona occasione a finché si contentasse di richiamarlo et restituirlo, con dire che se non il faceva io, che son tanto suo padrone, si diffidava né sapea dove ricorrere. Hieri poi mentre me ne stavo con Cesi, Sua Signoria Illustrissima mi disse essere venuto qui il vescovo di Osimo, hospite et amico suo intrinseco, il quale per antica amicitia et compagnia di licenza giovanile è ancora tanto domestico di Monte, che fra loro hanno avuto sempre comuni i pensieri, come i fatti. Questo vescovo referisce a Cesi d’havere riscontrato Monte in Val di Strettura dove alloggiati insieme seco grandemente si dolse della mala fortuna sua col papa et con gli amici, i quali tutti l’habbino abbandonato et che non gli resti in chi sperare poiché Farnese, havendo fatto qualche offitio, gl’aveva scritto //c.401v.// finalmente che non parleria più di lui, vedendo non poterli giovare. Il vescovo, ragionando come si fa amichevolmente di chi potrebbe aiutarlo, rispose egli nessuno conoscere a ciò più atto che Cesi, ma che tre cagioni lo riterrebbono. Una, di non dispiacer al papa, l’altra per odio che possa restarli di un suo fratello stato ammazzato nel pontificato di Giulio III. La terza (che è quella che mi fa scrivere questa novella) per esser Cesi amico del gran duca di Toscana, di chi egli non haveva il maggiore inimico. Osimo, meravigliandosi di questa terza causa come nuova, domandò in quel che era offeso da Sua Altezza et egli rispose, confermando il medesimo et soggiugnendo che ella l’havea tradito et spogliato del Monte contra ogni dovere, pel ché da lei non poteva aspettare se non male, né confidar che amici suoi lo favorissino, et che era servitore di Farnese et con lui voleva tenersi. Gli mostrò anche una lunghissima lettera di Granvela, con la quale discorreva sopra li fatti suoi, come protettore //c.402r.// et curatore, ricordandogli fra l’altre cose che, dovunche si trovasse alla morte del papaa relegato sotto l’obligo di questa medesima sententia, di quivi non si movesse per venire al conclave o andare altrove senza l’avviso suo, acciò non glien’avvenisse maggior danno perché egli procuraria per lui et di mano in mano gli direbbe quel che havesse da fare. Tutto questo m’ha detto Cesi et io come l’ho inteso così lo scrivo a Vostra Altezza per notitia sua, non le dicendo quel che io stimi o creda, perché l’essermi dipinto questo vescovo per homo da buon tempo et senza passioni et l’haver visto tanto della leggerezza di Monte et della malignità della corte, me lo fa tenere per vero, se ben più volte ho anche sentito di costà che egli faccia professione di constante et si sia dato nostro. Che questo et il non saper come sia passata a punto et come resti appuntata la cosa del Monte non mi chiarisce quanto sia verisimile. Giudichilo Vostra Altezza che ode questo et di quello ha piena notitia et dicami se le occorre //c.402v.// alcuna cosa, perch’io non risponderò al cardinale sin che non ho risposta da lei, et qua procurerò, se le parrà, che egli sia lassato nel medesimo stato sì che in caso di sede vacante non habbia voce, poiché scuopre di volerla usar contra di noi.
Si sono vedute le scritture portate dal Pappone et io volevo presentarlo hieri a piedi di Nostro Signore, ma lassai di farlo sentendo che Sua Santità escludeva le audienze per due giorni, il che so essere avvenuto perché era molestata da cociore d’orina che dovrà passare via. Savello, desiderando che il credito suo con i Montauti non vada con i medesimi respetti che quello degl’altri che tenevano a traffico i loro danari, m’ha pregato ch’io mandi le alligate scritture a Vostra Altezza, che sono un nuovo memoriale et una derogatione di fidei commisso fatta da Sua Santità in caso simile per esempio di quel che vorria si facesse hora da lei nel suo particolare. Gliele mando et la supplico a farli //c.403r.// tutto quel favore che può et udir cortesemente chi di costà gli parlerà per questo interesse suo, che le n’harò obligo, et con questo fine le baso la mano, et gli prego ogni prosperità.
Di Roma li 27 di aprile 1571.
[Post-scripta]. Gorone è stato hoggi per l’audienza dal papa, ma non ha potuto haverla. Aspettando con Alessandrino et Rusticucci et ragionando in materia del breve, scappò con certi storcimenti di volto a dire che dubitava che [il] duca suo non havesse inteso il desiderio di Sua Santità in tempo da poterle servire, perché già sariano scorsi i termini. Et in un tratto ripigliandosi, disse che Sua Eccellenza mandaria qua un dottore che risponderebbe per lei a Sua Santità. Il gentilhomo di Sforza fece rogar un notaio della presentatione del breve et quel duca, letta la lettera credenziale et baciato esso breve, non disse altro se non che risponderebbe a Sua Santità.
Per lettere di Marcantonio Colonna s’ha che finalmente, superando la parte più sana di quel Senato, s’era resoluto di metter la resolutione della Lega in Pregadi. Onde il doge con tre o quattro altri contrarii, vedendo non poter //c.403v.// più impugnare et impedire la resolutione contra il voto loro, havevano pensato di concorrere con la gente più numerosa, ma aggiugner conditioni che con la esorbitanza et impossibilità rendessino la conclusione nulla, come saria che per il re a mezzo maggio s’havessero in ordine 80 galere proviste, si desse per sicurtà una fortezza in lor mano, et altre simili pazie. Sua Santità farà domane una congregatione per non lassar diligenza alcuna, ma ci ha pochissima speranza.