Il cardinal Ferdinando al granduca Cosimo I [1]
Roma, 4 maggio 1571
Med. 5085, [già num. 192], cc. 405r-406r.
Rispondendo a la di Vostra Altezza de’ 28 passato, m’allegro prima del ritorno suo a Fiorenza sì per servitio publico, sì per quella privata sodisfatione ch’io godo di vederla appressata in luogo onde da lei ancora possa più spesso havere nuove di lei stessa, non venendomene a gl’orecchi alcuna più grata di quella che mi porti la sua salute, poiché con essa insieme parmi havere la prosperità di tutta la casa nostra, come ho veramente la maggior cosa che pretenda da lei il mio desiderio, se ella ponga ogni sua cura in conservarla.
L’ambasciatore mi conferì per ordine di Vostra Altezza quel che la scriveva a Nostro Signore et le harà risposto quel che si facesse poiché Sua Santità mostrò desiderio che il mezo d’Alessandrino si usasse dove allhora ci fusse cosa che non portasse tempo, stando volentieri sequestrata d’ogni negotio finché durava questa sua cura. Per questo io non ho havuto commodità fin qui d’andarmi a chiarir meglio della mente sua in caso che seguisse l’effetto //c.405v.// di quello avviso. Ma sto ogn’hora aspettando d’esser chiamato all’audienza, donde non mi partirò senza riportare quanto basti per sodisfare Vostra Altezza, alla quale in tanto posso dire che Sua Santità non solo sta senza una minima sospitione di questi apparati, ma afferma farsi quasi a persuasione sua per assicurarsi dal Turco, quando per la dissolutione della Lega non debbano usarsi a offenderlo.
Parlai con Morone largamente sopra qualche pratica d’accordo, mostrandogli pure sempre che non intendevo havere detto cosa alcuna che non conformasse col gusto di Sua Santità. Egli proponeva che l’imperatore facesse un nuovo simile privilegio di questo titolo et per ovviare alla difficoltà nellaa espressione della conditione delli Stati, nominarli come stavano in quelle bolle di Carlo V, et dalla banda nostra non si guardasse a qualche sborso notabile, mostrando creder che il partito in questo tempo che Cesare ha bisogno, non li dispiacerebbe et che si contentava ch’io //c.406r.// lo nominassi col papa, offerendo di fare sempre ogni buon opera. Un altro modo era di pigliar da Sua Maestà titolo di re, che è quello che già diceva Sua Beatitudine, ma a questo salterebbono gli spagnuoli terribilmente. Di tutto il ragionamento le darò conto con la prima occasione per sentire l’animo suo. Ma lunedì parte Morone per li Bagni di Lucca, né per sua mano si potrà forse far altro. Con Amulio (per dire liberamente) tratto malvolentieri, sendo egli, per la sollecitudine sua in referir a Sua Santitàb più che in udire, atto a nuocere quanto a giovare havendole con questo modo pieno il capo di sospetti. Pur a questo si potria forse remediar con haver prima sempre consultato con lei quel che poi si trattasse con esso. Ma a questo non verrò senza ordine et regola espressa di Vostra Altezza. In risposta della cui lettera non restandomi altro da dire, humilmente le baso la mano, pregandola lunga vita et felice.
Di Roma li 4 di maggio 1571.
a Segue nos barrato.
b Sua Santità corretto su Sua Altezza, segue non barrato.