Il cardinal Ferdinando al granduca Cosimo I [1]
Roma, 22 maggio 1571
Med. 5085, [già num. 208], cc. 423r-424r.
Lettera integralmente autografa.
Ho ricevuto una di Vostra Altezza alla qual mi hoccorre di rispondere a poci (sic!) capi sendo pien[a] di documenti paterni li quali osserverò, come è debito mio di fare. Mi hoccorre risponder al primo capo di tener aperta la casa, che lo desideravo per non haver a spender ogni anno 2 mila scudi in andar et venir a Fiorenza, non dando io parte a nisciun né di mangare (sic!) al qual, quando son fuor di Roma, non li dia la provvisione in denari et tenendo la medesima spesa di cani et cavalli quando sto in Roma, che quando sto fuora di maniera che non venga a crescer la spesa stando la mia casa aperta che sera escoa che le cose della tavola la qual non son obligato a far in asentia mia. Dico questo acciò che Vostra Altezza conosca che lo fo per rispiarmar, non per //c.423v.// buttar via. Circa ai danari della Petraia sono tanti poci che desidero suplisslino (sic!) a quello che piuò (sic!) mancarli di finimento. Circa ab quello che la mi scrive del Salviati, non dico che io non sia nella medesima oppinio che son stato sempre che sia atto a quelli negotii di Francia ma o scrittole del’abate di Portia vedendo che Salviati torna. Suplico Vostra Altezza mi faci gratia a dirmi chi sia quello che la dice che io o appresso di me chi revela li negotii di Vostra Altezza a ciò che la mi cavic di quel labirinto in ne qual mi anno messo le sua parole. Et acciò che possa gastigar questo tristo et se non è persona da poterla gastigar aciò me ne possa guardar parendomi di non controlar i negotii di Vostra Altezza se non con i suad //c.424r.// ministrie però con quelli bisogna per forza conferirli et ancora con Pietro mio secretario. Fo fine pregando Vostra Altezza a volersi ciarir (sic!) della verità et a gastigar i tristi.
Di Roma alli 22 di mago (sic!) 1571.
a Segue una parola barrata.
b Seguono alcune lettere barrate.
c La mi cavi interl. sup.
d Segue mi barrato.
e Segue co barrato.