Il cardinal Ferdinando al granduca Cosimo I [1]
Roma, 4 giugno 1571
Med. 5085, [già num. 218], cc. 457r-458r.
Con la lettera di Vostra Altezza ho havuto le copie mandatemi da comunicarsi a Nostro Signore insieme con ciò che ella mi scrive di consiglio degl’amici noti a Sua Santità, la quale hoggi ha visto il tutto volentieri. Et quanto alle cose di Germania mi dice quel che dal nuntio ancora havevo prima inteso: haver a esso nuntio dati ordini efficacissimi etiam di posponere gl’interessi proprii di Sua Santità a questi di Vostra Altezza et che egli, oltra la instruttione che portarà di qua, passarà per Firenze con commessione espressa di parlare a lungo con Vostra Altezza et intendere l’animo suo per governarsi in tutto il negotio come le sarà mostrato da lei, la quale potrà intanto quel che ha scritto hora generalmente pensare in qual forma possa mettersi in atto, acciò possa o trattarlo con esso nuntio, o avvisarne qua per instruirne il dottore che dovrà andar col legato. Col quale et col nuntio risponderà, dice, secondo il ricordo di Vostra Altezza, sebene questi ministri cesarei non si sodisfanno, pare a lei, di queste risposte et sene dogliono, ond’ella ne stava in dubio prima. All’espeditione di Mantova per Sassonia, rispose troncamente bastarli di saperlo, ma con segno di ricordarsene //c.457v.// et riconoscerlo al tempo delle gratie che Vostra Altezza accenna. Quel che s’havea di Spagna le piacque quanto Vostra Altezza potrà giudicare dall’altra qui alligata mia in sua mano.
Havendo stamani desinato con Cesi et, ragionando poi esso, il Camaiano et io, entrò in queste cose nostre, concludendo che poi che si vedeva lontana ogni occasione di abboccamento fra Sua Santità et il Re Catolico et non dovevano ogni dì haversene simili alla che si offerisce della espeditione d’Alessandrino, nipote di Sua Beatitudine et affetionatissimo alle cose nostre, li parea che a lui si dovesse dar la cura di accommodarle con Sua Maestà, la quale, quietata et persuasa a intromettersi con l’imperatore, si poteva stimar facile tutto il resto. Però stimaria bene che Vostra Altezza scrivessi di suo pugno a Nostro Signore, supplicandolo a commettere con ogni efficacia il negotio a Alessandrino, et scriver di suo pugno al re non solo in credenza generale, ma speciale di questo, con mostrar il desiderio che ella ha di vedere quietato questo humore per opera della Maestà sua, alla quale lo chieda anco in gratia. Ho voluto scriverlo a Vostra Altezza per sua notitia. Intanto dico che //c.458r.// dell’opera mia nel negotio del Commendone non ho io fatto parola fuor di Sua Santità (a la quale tal’hora è cavato di bocca qualche cosa) et di Alessandrino sì che da me non si è potuto risapere, come le viene scritto. Ma se sono tanto note a Roma le male sodisfattioni dategli, diconoa, da Vostra Altezza et le querele di lui sopra di ciò, che questo basti a gli speculatorii per discorrere et trovare tali hora le nostre inclinationi, et per malignità o per altro affermare per vero quel che essi con tal coniettura vadino chimerizzando, a questo non posso remediare io, il quale harei per manco male (se Vostra Altezza mi stima tanto imprudente et largo) essere tenuto lontano da negotii suoi, che sentirb battere ogn’hora senza mia colpa la fede et affetione mia, col solo fondamento di questi cicalamenti. Che è per fine col quale humilmente gli baso la mano. Di Roma li 4 di giugno 1571.
a Dicono interl. sup.
b Sentirmi, -mi barrato.