Piero Usimbardi a Bartolomeo Concini [1]
Roma, 6 luglio 1571
Med. 5085, [già num. 243], cc. 514r.-515r.
Molto magnifico Signor mio osservandissimo,
ho molto piacere che il parlare d’Alessandrino fusse piaciuto a loro Altezze, allegrandomi io sempre di ciò che sia servitio loro. Al cardinale ho mostrato la di Vostra Signoria Magnifica sopra di ciò et hora me la riterrò senza passarla alla notitia altrui, come ella comanda. Il Tolosani va tuttavia dietro alla sua espeditione et dovrà partir presto. Sarà stata buona operaa la di Vostra Signoria per conto delle lettere di questi spagnoli, perché essi vanno tuttavia mendicando le occasioni di nuove querele.
Non si può toccar alcuno della scuola vecchia di questa corte dove non arrivi il sospetto dell’interesse farnesiano, havendo egli per tanti anni tenuto il principato. Pur non è men longo il tempo scorso da lui con mille scortesie et ingratitudini con ogni sorte d’homini. Messer Francesco Maria, se Alessandrino ubedirà il vecchio santissimo, sarà il più confidente. Il Polanco farà il più della secreteria, così affermano li spagnoli et molti altri ancora et tutto è lavoro di Carniglia, il quale (se si riguarda il passato) è una medesima farina. Quel che il cardinale accenna del ragionamento mio con Pacecco è che, leggendogli io certa lettera di Sua Altezza d’ordine di Sua Signoria Illustrissima, egli //c.514v.// mi disse: «Sono passati molto innanzi contra di noi questi cattolici et non è verisimile che parlino in vano et non sappino come l’intenda Francia, il quale che sappiamo noi che veramente non sia per starsene da parte et dirb al granduca chec raccolga hora il frutto did quella fortuna che haveva ostinanatamente et contra di loro voluta correre sempre?» Et, tacendo io, soggiunse: «questi spagnoli almeno così affermano». Io dubitai di non esser tentato, non perché non stimi Pacecco di quella bontà che Vostra Signoria dice, ma perché vedo dalle sue parole istesse che stimae bisognarli procedere con molta cautelaf, sendosi dolto meco de mali trattamenti che ricevono i suoi in Spagna, che vengono trattati, dice eglig, come persone diffidentissime et inimiche solo per le relationi che si fanno di qua; alle quali non credo io già che egli voglia dar tanta occasione che anco talvolta non s’ingegni di temperar la cosa et scemare le suspitionih con qualche offitio a suo modo, dovendo pure talvolta occorrerli di ragionare sopra quel che passi col cardinale nostro alle strette in consistoro et per quel che spesso vadino da lui i ministri di Sua Signoria Illustrissima, le quali cose non si possono celare, sendo quasi sempre Verzosa con lui. //c.515r // Del vescovado di Cortona il cardinale non ha fatto mai altro perché, havendo inteso che Sua Altezza non se ne voleva impacciare, giudicò dover far il medesimo lui ancora, tanto più che né di messer Augusto, né d’altri mai le rispose. Sii è detto che Sua Santità lo dava al fratello delj suo guardaroba, contadino et ignorante, ma destando il negotio Vostra Signoria s’intenderà se siamo a tempo et Sua Signoria Illustrissima moveràk col pretesto dellol interesse di loro Altezze alla prima occasione, ma saria pur stato bene accennar più oltre a qualche suggetto, di che però mi riporto a lei et con questo fine le bacio la mano.
Di Roma li vi di luglio 1571.
Di vostra Signoria molto magnifica affetionatissimo servitore Piero Usimbardi.
a Opera interl. sup.
b Segue che barrato.
c Che interl. sup.
d Segue questa barrato.
e Segue li barrato; stima interl. sup.
f Segue d barrato.
g Segue da p barrato.
h Et scemar le suspitioni interl. sup.
i Segue n barrato.
j Segue un barrato.
k Segue per l’barrato.
l Col pretesto dello interl. sup. con segno di richiamo su per barrato.