Piero Usimbardi a Bartolomeo Concini [1]
Roma, 7 luglio 1571
Med. 5085, [già num. 248], cc. 524r-525v.
Molto magnifico Signor mio Signor osservandissimo,
dal cardinale Pacecco m’è stato detto, a finché si scriva, che fu hieri da lui Massimo Grotto, il quale gli dette conto di quanto haveva passato l’ambasciatore cesareo con Sua Santità hiermattina nella audienza, che disse esser questo: havere data la lettera in raccomandatione di Dolfino, la quale letta, Sua Beatitudine rispose assai aspramente non volersi impacciar di lui, il quale, se non fusse stato ila respetto di Sua Maestà, haria prima che hora trattato come meritava. Queste parole piacquero all’ambasciatore che l’odia, il quale, volendo anco chiarirsi se egli starebbe in Germania o tornarebbe, domandò Sua Santità se era vero che l’havesse richiamato. Et rispondendole ella di no, esso le domandò come stariano alla corte quelli due cardinali et come egli presente tolererebbe di vedersi venire adosso un legato, massimamente Commendone. Et lei disse che non voleva pensare a fatti suoi et che se non voleva starvi se n’andasse. Dolsesi l’ambasciatore che non s’inviasse il legato, con dir che pareva farsi poca stima dell’imperatore mandandosi prima quello di Spagna. Et lei replicò //c.524v.// che il legato non si moverebbe prima che fra un mese et forse un mese et mezzo. Et, seguendo egli le sue querele, la gli disse: «basta, così sta la cosa et l’imperatore saprà il tutto a quel tempo».
Domandò s’andaria Finetto (come si diceva) con il legato o il suo auditore. Rispose non volere levare Finetto dal governo, ma che si mandaria il suo auditore. Su questo auditore, sendo vassallo di Sua Altezza et giovaneb, dice che si fondano a far sinistri offitii et mostrare che sia provisto con poca dignità dell’imperatore et che sarà mal visto et ributtato et farà disservitio a negotii, mostrando perciò Pacecco che saria da far ogn’opera di mutarlo. Io dissi che questa era elettione di Commendone che lo conosceva et che, non havendo a trattar da sé o mostrar divisione di negotio, ma servir a Sua Signoria Illustrissima, non poteva al parer mio causar questo o altro disordine. Pur che mi rimettevo et che scriverei questo, come l’altre cose, ancorché non mi paresse che Massimo desse molto del buono; //c.525r.// dal quale disse anco havere inteso che la tardanza del legato veniva imputata a Sua Altezza et parimente la nuova sparsa che le cose dell’imperatore in Transilvania non passassino a modo di Sua Maestà interamente et che questo commento faceva l’ambasciatore. Fin qui Pacecco.
Il cardinale nostro mi ricordò il vescovado di Cortona et Sua Santità disse essersene ricordata, ma non saper dove volgersi anco nella frateria, havendo quella chiesa bisogno di persona agiata in altro per potere tener quel grado et non combatter con la fame con entrata debole et gravata; haver pensato a monsignor Braccello, però che vi pensasse anco il cardinale, se n’informasse et parlasse poi con lei. Parmi impossibile che non siano fra vassalli di loro Altezze soggetti che piaccino, et non saria però forse se non bene, poiché la cosa è integra et son levate le competenze, proponere qualcuno. Il cardinale m’ha detto scriva tutto a Vostra Signoria et le soggiunga che, se non gli vien commesso di costà, non proporrà né servitori suoi, né altri, con tutto //c.525v.// che stia in lui il maneggiar il negotio come vuole; che se le pare communichi il tutto con loro Altezze et gli faccia intender la mente loro acciò sappia quel che ha da far di questo monsignor Braccello, dicendoli che la cosa è tale che al papa si farà piacere di proponere qualcuno. Il cardinale m’ha dato la di Vostra Signoria del 3 et ordinatomi le risponda che, in quel che qua occorrerà trattar, si ricordarà di questo avvertimento di Sua Altezza, col qual fine le baso la mano.
Di Roma li vii di luglio 1571.
Di vostra Signoria molto magnifica
Affetionatissimo servitore Piero Usimbardi.
a Segue servitio barrato.
b Et giovane interl. sup. con segno di richiamo.