Il cardinal Ferdinando al principe Francesco [1]
Roma, 11 aprile 1572
Med. 5087, n. 47 (cc. 122r-123r).
Della salute di Nostro Signore scrissi avanti hieri a Vostra Altezza. La notte fu poi assai quieta et hiermattina Sua Santità stette più di due hore alla benedittione delli agnusdei senza accidente alcuno d’orina o d’altro, ma allegramente anco burlando talhora con i cardinali et hieri anco si trattenne un pezo nell’espeditione di questa cerimonia, lunga per la gran quantità che la n’ha fatta, alla quale non è già tornata stamane, havendo mal dormito et riposato la notte passata. Da che si conosce che il male non fa pace, né ancora tregua tale ch’altri se ne possa assicurare. Il che anco si conferma perché non si volge ancora a negotio alcuno per leggiero che sia. Per il qual respetto non s’è potuto trattar con lei sopra quel che ricerca il Vestrio per sodisfattione et servitio di Vostra Altezza, né si potrà far così presto che meglio non sia lo spignerlo a eseguir la sua commessione con quella maggior efficacia che potrà et scriver subito come trovi le materie disposte. Perché se avvisarà di sperar poco, haremo occasione allhora di instar per ordini più gagliardi col mostrar che poco si apprezino i consigli paterni di Sua Santità et ella più facilmente s’indurrà a quello che non gl’è parso di far fin a hora. Ma se egli harà profittato, non accaderà affaticarla altrimenti. Voglio ben dir queste //c.122v// poche parole: che in questa espeditione s’è fatto per la parte nostra quanto più s’è possuto et che, havendo riviste le lettere di Vostre Altezze, trovo anco esserci tanto appressati aa quella che fu loro prima intentione, che forse non debba parerle né più dannosa, né più contraria all’honesto questa espeditione di quel che habbino accennato loro, quando comandorono che si domandasse il consiglio di Sua Santità, la inaspettata infirmità della quale se ha poi vietato che non si siano tirate di quelle cose che io scrivevo disegnare et sperare di ottener in voce, questo pesa non meno a me che a loro, come anco dirà il Camaiano, rispondendo alla lettera che la gli scrive. A Alessandrino (che mi domandava della risposta del granduca nel particolare del signor Michele) diedi finalmente la lettera, avvertendolo confidentemente del contenuto acciò potesse, quando li parrà tempo di presentarla et leggerla a Sua Santità (il che toccarà a lui), fare quel che occorre così per servitio di Vostra Altezza, come per suo et m’ha promesso pigliare buona occasione per far il tutto. Con lui communicarò anco la lettera di Sassonia, acciò ne dia conto a Sua Santità et prevenga i calunniatori, et sarà facil cosa che la creda la venuta di costui esser più tosto per esplorare che per far altro.
//c.123r// Io, secondo che ritrarrò di questa lettera, come de capi dela di Vostra Altezza, così scriverò per suo ragguaglio, non lassando in tanto che a quella che la mi ricorda et alle altre riserbate da Sua Santità farò dar di mano in ogni evento, acciò ne segua quanto vorrò io et non vadino a spasso, se ella mancasse. Ho avvertito Alessandrino che, nel leggere la lettera sudetta nella parte della sententia, dia passata et non aggravi Sua Santità poi che è cosa che ella non può fare in quel modo che vien richiesta, ma che si ristringa a instare per il breve con maggiore efficacia et far ogni operab di risolverlo con Sua Santità et m’ha promesso di non mancarne ma trattar la cosa come sua propria. Che è per fine, col quale in buona gratia di Vostra Altezza mi raccomando.
Di Roma li xi di aprile 1572.
a A aggiunto in interlinea superiore.
b Opera aggiunto in interlinea superiore.