Il cardinal Ferdinando al principe Francesco [1]
Roma, 1 maggio 1572
Med. 5087, n. 65 (cc. 166r-168v).
La lettera del granduca de’ 23 et quella di Vostra Altezza de’ 26 non richiedono risposta, contenendo cose delle quali non è tempo di trattare per hora, sendo stato il papa, dall’ultime mie in qua, sempre, come si dice, in transito et senza spirito da negotii, come hora è tanto vicino a morirsi che io preparo questa per espedirla subito con l’avviso della morte. Innanzi alla quale mi occorre dirle che li andamenti di questa corte mostrano molto stravagante et turbolento per moti gravi dovere esser il tempo della sede vacante. Et che ciò sia conosciuto da ognuno, si vede per molti riscontri. Lasso che Farnese si tenga per certo et fermo il pontificato et che questo lo mostri con una maniera insolita, dandomi noia solamente che egli habbia fondamenti, se non per il tutto, al meno per una grande speranza, attissima a condursi all’effetto con mediocre industria. Ma il veder che il principe suo di Parma viene qui per fermarcisi et che ci si ferma il principe d’Urbino non può se non generare in me (per la qualità de loro cervelli et per la voglia immoderata) quel sospetto che ha tutta Roma di qualche violenza; ila quale, se bene dai principali vien dissimulato, non però si cela in effetto, perché Marcantonio Colonna, facendo mostra di voler partire, darà però la lunga più che potrà, et in tanta fa //c.166v// venire una banda di cavalli leggeri. L’ambasciatore di Spagna, che tuttavia sollecita ognuno, ha ordinato al signor Paolo Giordano che si trattenga fin che non gl’è detto altro, et altri simili giramenti si vedono. Io per consolatione d’Alessandrino procuro che il signor Hieronimo resti la guardia di Borgo, la quale giuntamente in un certo modo assicura il conclave, et ferma a lui qualche premio et cortesia del pontefice futuro, et procurarò anco, che il governo di Borgo venga in un prelato amico. Al capitano Momo Ghettini ho scritto che mi mandi dieci soldati et al signor Federigo, che della banda di Montalcino me ne mandi altrettanti, i quali con quelli di Simeone et con la famiglia mia, bastaranno per guardia mia et poi della casa. Ma per li sudetti respetti giudicarei bene che Vostra Altezza ordinasse secretamente che, per ogni bisogno, stettessero in ordine da potersi muovere fino a 800 o milleb homini delle bande più vicine sì di fanti come di cavalli, per inviarli o a poco a poco o tutti insieme quando si stimasse a proposito et fussero chiamati per mia lettera, la quale non si faria senza urgente necessità et per difesa dela libertà del collegio et per animar gl’amici, se coloro, come si crede, chiamassero gente in Roma. In oltre l’avvertire //c.167r// Mariano d’Ascoli, il conte Lionello, Giovanpaolo da Fermo et simili a stare attenti per muoversi sarà utile per tener il cervello in testa a chi non l’ha, perché in effetto si vede tanto mala volontà contra di noi et amici nostri in Farnese et ne suoi praticanti et tanta sete del pontificato che pare da credere sia per tentare ogni cosa. Li fondamenti et appoggi suoi sono tali che se ne debbe temere grandemente, pure ci ingegnaremo che li conosca mal posti, se si vada per l’ordinario, ma ci saràc da sudare. Stamane sono stato con Alessandrino il quale, havendo lassato il papa col rantaco, se ne stava il camera afflitto, et mi ricevé con lacrime, come disse fare quelli che Sua Santità amava. Mostrossi dubioso che io, sentendo quel che Roma ciarlava della volontà sua in questo conclave, non fussi venuto in qualche sospetto et mi affermò di nuovo efficacissimamente che voleva essere nostro, come vederei, et che, per tagliare la strada a tutte le malignità con le quali altri pensasse dividerlo da me et per meglio stabilire questa resolutione, gli pareva da fermare fra noi che ci dicessimo sempre l’un l’altro tutto quel che passasse et ne venisse referto, come fanno gl’homini che hanno una mira et un interesse medesimo, acciò nessuna cosa riserbata nell’animo potesse causare mutatione di volontà in fra di noi. Et questo fu stabilito fermamente. Contentossi menare in conclave //c.167v// quelli de suoi servitori che io gli mostrai buoni et ributtò altri suoi meno atti per honore et servitio suo, stimati anco tali da Sua Santità altra volta. Et in somma m’ha dati segni certissimi di voler essere meco in ogni et contra ogni soggetto, con la quale unione, se ben non debbe cessare interamente il timore nostro sudetto, si conserva però et accresce la speranza di potere schifare quel che stimiamo dannoso et che si vede voluto da molti per diversi respetti, massimamente che egli vi si mostra talmente fermo che forza alcuna dice non haverlo a potere separare se ben v’andasse la vita. Disse da forza, perché ancor esso ha visto il fasto di Farnese in questi giorni et sentito (forse anco da lui stesso) qualche parola che lo fa dubitare di travaglio grave et insolito, et per ciò desidera et ricorda che vi si pensi. Piaccia a Dio che riesca vano il dubio di cosa che saria con tanto scandolo et disservitio di cristianità. Ma il sudetto respetto et il numero et ostinatione de competitori et il partimento delle voci fa che se ne tema.
Di Monte m’era stato posto molto sospetto, ond’io havevo rimesso l’homo suo a Vostra Altezza. Dipoi ho trovato qualche vanità nelle relationi et il detto homo si risolve d’aspettarlo qua, intendendo massime che ella di costà habbia complito con quello aiuto, che domandava a me. Che, se è vero, io //c.168r// n’ho molto piacere et le ricordo di fermare bene le cose con lui, massimamente circa la persona di Farnese, alla quale replico che è da avvertire, et a me scriva quanto ho da promettermi di lui.
Dolfino può richiamarsi con l’occasione della morte del papa et io non gl’ho scritto nella malatia, non sapendo come l’intendesse Vostra Altezza, massimamente non havendomi risposto quando io le indirizai quel piego dell’agente suo per lui.
Più volte che sono stato domandato di costà in generale se s’era fatto penetrar quell’offitio all’ambasciatore cesareo ho risposto di sì, et hora soggiungo che a buon proposito m’occorse anco di farli vedere la copia della lettera scritta a Sua Santità, dalla quale credo anco che n’havesse buon riscontro.
Sono comparsi i muli con le robe che l’è piaciuto mandarmi et io la ne ringratio infinitamente et aspetto hora Simeone con gl’homini suoi.
Trovomi senza olio, senza polvere et senza acqua contra veleni, et pur nel conclave vorrei portarne con me per ogni bisogno. Però prego Vostra Altezza provedermene quanto prima. Et se havesse anco qualche mestura d’odori per tenere in mano, contra il fetore et corruttione della clausura mi saria carissimo, sendo per chiuderci et per starvi, forse lungamente, in tempo da patirne. //c.168v// Oltra il principe di Parma, hanno chiamato anco il duca, et questa cosa dà da dire assai et da sospettare. Ond’è, parlandomene hoggi, il signor Pompeo Colonna haveva pensato che il modo da sgombrarli via tutti fusse che si dicesse in nome di Vostra Altezza fra qualche giorno nel collegio che ella, mossa dal zelo del servitio di questa Santa sede, si risolved, quando sia con buona gratia loro, venirsene a Roma lei ancora per stare a servire loro Signorie Illustrissime insieme con questi altri principi, perché il collegio allhora si risolverebbe di comandare a tutti che se ne partissero, et a lei faria rispondere che la ringratiassero etc. Ho voluto dirglielo per ogno respetto.
Nostro Signore finalmente hoggi su le 22 hore se n’è passato a miglior vita, come scrivo anco con l’alligata a Sua Altezza, et con questo fine le bacio la mano.
Di Roma il primo di maggio 1572.
[Post scritto] Sarà servita Vostra Altezza mandare con corriere il piego allegato per Sforza che è dell’agente suo, et a la partita di Monte pensare se sia bene havere il consenso del collegio, per non haverlo a combattere poi.
a Il precedentemente era stato scritto la, poi corretto in il cassando la a ed eseguendo la vocale i prima della l.
b Mille in un primo tempo seguito da fanti, poi cassato e sostituito da quanto segue.
c Sarà in un primo tempo era stato scritto darà, poi corretto stesso.
d Risolve in origine era stato scritto risolveva.