Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, a Pisa [1]
Roma, 30 marzo 1585
Med. 5092, n° 33 (cc. 77r-78r), firma autografa
//c.77r//
La lettera per Caraffa [1] è piaciuta ancora a lui per l’effetto che la desideravamo, al quale egli se ne servirà inviandola domani a Napoli. Fu escluso Giovanni Andrea [2], il principe di Stigliano si maritò [3], et un altro napoletano pretensore assai proportionato parimente s’è accasato. A uno spagnolo proposto dal Re [4] hanno risposto, che la vuol marito italiano, tal che se ben molti la vorrebbono; nessuno però se ne vede a modo, et l’inclinatione è tutta qua, dove spera Caraffa, che caderà la resolutione finalmente et egli ne farà ogn’opera, ma terribilmente in contrario lavorano molti con l’eccezione di queste belle cose del signor Paolo [5]; a che s’andarà riparando con lo scudo di Vostra Altezza mostrando, che con lei sarà il parentado, che già altro non terrà in offitio quelle femine. Per il Ceoli [6] potrò provare la via, che Vostra Altezza mi mostra con quelli signori Del Monte. Del cardinale di Verona [7] scrissi quel che m’haveva detto egli stesso della venuta, et delle cagioni, se non fu vero, o se si // c.77v// mutò, è da imputarne lui. Per il frate Piccolomini [8] trattarò la coadiuteria come Vostra Altezza comanda, et piaccia a Dio, ch’il papa, che al primo assalto piegò a quello che Vostra Altezza volse ch’io gli dicessi approvarsi da lei, ci si disponga facilmente come vorremmo, ma io farò la mia parte con mira di consolare quella famiglia.
So quanto meriti Anton Francesco del Pino Corso, et però come farei mia ogni sua occorrenza, così mi adoprarò perché resti servito in questo che Vostra Altezza a sua richiesta mi raccomanda. Che è per fine col quale a Vostra Altezza bacio la mano.
Di Roma li xxx di marzo M.D.LXXXV.
Poscritto
Haveva detto Mario Sforza a Stoldo Guidarocchi d’Ascoli, che nell’accomodarsi con me, o con casa nostra, avvertisse che farebbe dis// c. 78r//piacere a superiori, et che anco doveva considerare che siamo homini che imbarchiamo altrui, et poi gli lassiamo sul buono, di che trattando io col signor Jacopo [9] mi replicò che io non mi meravigliassi, perché era in ciò passato più oltre, quando era nella Marca, che mostrando d’havere saputo questa pratica, haveva in lettere di negotio scritto, che non era, per suo parere, da permettere, ma proibire, che simili homini di seguito si accostassino con noi. Il che sentendo il papa volse che gli si rispondesse, come fu fatto, che troppo era presuntuoso a ponere bocca in questo. Il signor Jacopo non può patirlo, vorriaa levarselo d’attorno, come anco Guastavillano [10] n’afferma ma non trova la via. Et io ho procurato che San Sisto [11] gl’aiutarà credendo di fare cosa di lor disgusto. Etc.