Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I, a Firenze [1]
Roma, 23 maggio 1586
Med. 5092, n° 135 (cc. 356r-357r), firma autografa
//c. 356r//
La lettera che Vostra Altezza mi scrive de’ 16 sendo nel resto tutta responsiva, richiede solo che io la ringratii dell’avviso che mi dà della sua cura, et m’allegri con lei, come fo con me stesso che fusse finita felicemente et con segni di quel profitto, che dovemo desiderarne tutti.
Venne don Cesare [1], et passando io per intendere, come la facesse il cardinale [2], mi fece fare instanza Sua Signoria Illustrissima di salire da lei, la quale mostrando dispiacere di non essere sano per servirlo d’introduttione et altro, mi pregò molto strettamente, che io facessi le sue parti, poiché in suo defetto nessuno vi era, a cui più s’aspettasse; ond’io dissi, che crederei poterlo sodisfare, et mi offersi pronto, havendo prima preparatione con Olivares [3] per un caso simile, che non vi seppe trovare inconveniente alcuno, et etiam >…<a co’l papa, che lodò che io lo facessi. Così lo condussi alli piedi di Sua Santità privatamente secondo l’uso della corte, et fu bene visto et carezato, né si venne a particolare di ricevimento, havendo solo accennato il papa, che faria con esso come con gl’altri, et con altri, come con esso. Hoggi fa la sua entrata, alla quale, perché pur Este mi pregò di farli ogni honore, ho voluto che vada Virginio, sendo parso anco a Cesi [4], che saria stato inconveniente d’ometter questa dimostratione, poiché questi signori romani usano, quando sono qua, di concorrere così ad honorar li Principi et mandati loro, massime simili.
Farnese [5] soleva dire che Nostro Signore di suo moto dette lo stocco al principe Ranuccio, ma io posso dire come di vista, che pur ne fece instanza per mezo del cardinale Azolino [6] che lo trattò per poliza con Sua Santità. Alessandrino [7] voleva certe lettere da Nostro Signore per //c. 356v// il marchese suo [8] al nuntio di Spagna [9], et (bqualunche fusse l’humore, mandava il suo frate Pietro Spagnolo, il quale instando l’espeditione del corriere, et non potendo havere audienza, fece ricapito con me che ero a Palazo, et io ne trattai, et ottenni l’ordine subito, siche l’harà havuta in tempo. Credo sarà rimasto sodisfatto.
Montalto [10] mi riesce ogni dì più amorevole, et anco di tanto spirito da promettersene commodo in ogni occasione. Questi dì passati mi dichiarò in lungo ragionamento che Fabio [11] figliolo di Latino Orsino si spigne innanzi con ogni maniera, et che non debbiamo permetterlo, perché si apertamente è contrario alle cose nostre tutte, et che ha praticato lui stesso per Farnese, come ha fatto parimente il Papio farnesianissimo etc., il quale parimente et per questo non li piace. Non vuole che ci fidiamo anco del vescovo di Furlì [12], il quale dice havere l’humore medesimo, et che questo le sa benissimo per li ragionamenti passati con lui. Ho trattato con Cesi, il quale è di parere ancor lui, che se di casa Orsina non si possa havere Valerio fratello di Lodovico, sia da fare instanza che nessuno di loro se ne faccia, perché tutti saranno contrarii a noi et a [13]. Per Valerio ha detto volere fare scoperta co’l papa, il quale io temo, che non verrà in lui per l’opinione che ha che Lodovico fusse nella morte del nipote, ma vederemo. Intanto convien che Vostra Altezza habbia l’occhio per attraversare con l’autorità sua, perché io potrei forse sino a certo segno, et per ciò ho giudicato doverla avvertire. Con Montalto ho operato che fermi la signora Camilla [14], come dice havere fatto, che non procuri per alcuno senza notitia //c. 357r// et consenso suo, et dovrà farlo, poiché della promotione passata sono tutti malcontenti, et io a buon proposito ho detto al papa, che a nuova promotione sarà bene, che proceda et oda più maturamente, et mi ha risposto essere necessario et volerlo fare, mostrando ancora egli che in questa sia poco di conforme alla mira sua. Che è quanto m’accade et le bacio la mano.
Di Roma li xxiij di maggio 1586.