Il cardinale Ferdinando al granduca Francesco I [1]
Roma, 31 luglio 1587
Med. 5092, n° 209 (cc. 527r-528v), firma autografa
//c. 527r//
Con don Pietro [1] potremo sodisfarci d’havere complito come conveniva, et nel resto bisognarà pur lassare fare a lui, il quale se vuol casarsi con chi non lo vuole (come intendo che a volerlo non s’induceva quella giovane [2]) non so come possa difendersi dall’opinione che Vostra Altezza hebbe sempre della sua intentione, dalla quale per rimuoverlo sarà stata necessaria la prova del corriere, et il parlare nostro, poiché vo scorgendo, che quelli nostri veramente per timore de suoi risentimenti ardiscono a pena di accennarli cosa di qua. Nel particolare delle galere harà sentito Vostra Altezza le resolutioni et risposte di Sua Santità. Circa li duoi frati [3] non m’è nuova la risposta di Vostra Altezza, et io già l’ho significata qua dove bisognava per altro ricapito loro. Della coadiutoria di Salamanca trattarò quando mi sarà data l’informatione che ho chiesta, et se le cagioni vi saranno, spero che si otterrà, et io ne farò ogn’opera, accioché resti consolato chi se l’ha promessa co’l mezo di Vostra Altezza. Il cardinale San Marcello [4] merita con Vostra Altezza et con me per la sua amorevoleza quanto la sa. Però dovria bastare con lei, che sia cosa et instanza sua quella che va contenuta nell’incluso memoriale, nondimeno havendo voluto trattarla per mia mano, io non ho dovuto recusarlo, come debbo pregarla, et la prego efficacemente di gratificarlo anco per amor mio in questo che desidera grandemente nonostante l’obiettioni ordinarie fatteli da me. quel che passasse Nostro Signore nell’ultimo consistorio contra il Re Cattolico [5] con occasione della sua pragmatica, già l’harà inteso Vostra Altezza, et lo vedrà //c. 527v// ridotto in summario co’l foglio incluso. Li termini furono strani quanto più si considerano, dichiarando il Re in continuo peccato mortale con quest’ordine che dicono direttamente contrario al terzo precetto del Decalogo, per il che mostrò Sua Santità d’haverli compassione, se bene ve lo legò in modo da non poterne quasi uscir se non da se stesso con la revocatione, di che quali siano et quanto strane le conseguenze lo giudichi Vostra Altezza. Io posso dirle che Olivares [6] o che habbia, o non habbia colpa nel maneggio di tanti mesi in questa pratica, o che dubiti che in lui si possa ridurre, resta confusissimo et irresolutissimo di quel che debba fare. Onde mandò il secretario dell’ambasciata [7] a darmi parte del suo fastidio, et domandarmi consiglio, parendoli che non si potesse trattar peggio con un principe simile. Io li dissi che delle cose precedute non havendo notitia alcuna, non harei potuto, né anco se Sua Santità havesse consultato co’l Collegio, opponere se non in generale, ma che Sua Santità dopo quelle deplorationi, così immediate congiunse et pronuntiò il decreto, et giuntamente passò all’espeditione delle materie consistoriali, che nessuno haria potuto farlo quando anco havesse voluto, come sa tutto il Collegio che con admiratione sentì quella resolutione inaspettata, la quale a me dispiaceva infinitamente ma che mi rivederei con esso, et gli direi quanto mi accadesse. Quel che li dissi poi fu in somma che il tacere in tanta dimostratione non saprei lodarlo, ma che né anco approvarei il soverchio risentimento, poiché questo potrebbe esser con più perdita che guadagno, perché non doveva sperare che le sue parole havessero autorità et forza per sospendere o mutare in alcun //c. 528r// modo quel decreto, ma sì bene potrebbono più tosto guastare la parte che toccasse di fare a Sua Maestà et al sicuro insalvatichir lui con preiuditio di questo, et altri negotii con Sua Santità. Però che la diritta mi pareria di rimostrare a Sua Beatitudine con segni di dolore, et fuor d’ogni termine d’aperta reprensione et querela, potere ogn’uno restare admirato, come mentre Sua Maestà in tutta sua vita altro non ha fatto che faticare et spendere quanto ha in servitio della religione mirando sempre alla amplitione d’essa, riceva hora in premio da Sua Santità et da questa Santaa Sede con sì debole occasione un affronto publico, co’l quale per sua maggior confusione habbia renovato sì sinistramente la memoria di quel che per mera necessità già convenisse fare a Carlo Quinto, che allhora potette molto bene giustificarlo, et così in certo modo dichiari scismatici tutt’e due, restringendosi a dire, che n’haria ragguagliato il Re, che come principe di santissima mente, poteva credersi che acerbissimamente saria per sentire questo successo, sopra il quale perciò supplicarla di fare quella nuova consideratione, che le dettasse la sua benignità. Etc.
Mostrò d’approvare questo parere, et di volerlo esequire, et riserbare alla deliberatione del Re il procedere più oltre in materia sì grave, come stimasse necessario per rimediare il fatto, et ovviare all’esecutione della parte minacciata. Et non si scandalizò che io li rimostrassi fra le cagioni del mio silentio il non havere havuto parte de progressi del negotio, et li dicessi, che più ardito consiglio haria dato et con buone ragioni chi havesse voluto spingerlo al precipitio, ma che io dove si tratti il servitio del Re, posporrò sempre ogn’altra //c. 528v// mira, et trattarò con l’ingenuità, che conviene a me più che a qual si voglia respetto. Il che mostrò di conoscer molto bene, et stimare come conveniva, et perciò anco haverne a fare testimonio, sì che vedremo dove andar a pararsi. Et fratanto a Vostra Altezza bacio la mano.
Di Roma l’ultimo di luglio M.D.LXXXVIJ.
Nostro Signore ha concesso al re di Francia [8] l’alienatione delli altri cinquantamila ducati di entrata ecclesiastica che si riservò nella concessione delli altri cinquantamila, che vuol dire un altro milione di valsente in soccorso della nuova guerra.